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Chi preme e chi frena sulla ratifica del Mes

Ratificare o non il Mes? L'analisi di Giuseppe Liturri

 

La notizia è cha da venerdì la proposta di legge presentata alla Camera il 16 dicembre, finalizzata alla ratifica della riforma del Trattato del Mes, è stata assegnata in sede referente alla Commissione Affari Esteri.

È stato il primo firmatario, l’onorevole Luigi Marattin, a rivendicare l’iniziativa, annunciando baldanzoso su Twitter che “stanchi di aspettare il governo e i suoi balletti, la legge di ratifica della riforma del Mes l’abbiamo presentata noi. E ne chiederemo subito la calendarizzazione. È il tempo di archiviare il populismo una volta e per tutte”. Ma l’assegnazione alla Commissione è solo il primo passaggio dell’iter parlamentare, perché i corridoi di Montecitorio sono lastricati di proposte di legge assegnate alle relative Commissioni e mai nemmeno incardinate. Sarà necessario che la conferenza dei Capigruppo solleciti la Commissione ad inserire l’esame della proposta nel calendario dei lavori. E questo avviene, in termini tecnici, con l’assegnazione alla Commissione di un “termine per l’assemblea”. Cioè una scadenza entro cui terminare i lavori e portare il provvedimento al voto dell’aula. Insomma, uno scenario non proprio immediato, come ha voluto far credere Marattin.

Tuttavia, l’iniziativa di Marattin e dei suoi colleghi del Terzo Polo, pone comunque un problema di tipo politico per il governo Meloni. Perché ricorda l’avvicinarsi dell’ineludibile momento in cui il governo dovrà decidere se presentare un proprio disegno di legge. Momento che si annuncia già divisivo perché, così facendo, vanificherebbe l’ordine del giorno del novembre scorso con cui la maggioranza parlamentare ha impegnato il governo a non presentare alle Camere tale provvedimento. Ammesso e non concesso che si arrivi a tale decisione, il voto in aula potrebbe mettere a nudo le evidenti diversità di vedute sul tema all’interno della maggioranza. Con Forza Italia favorevole alla ratifica e buona parte della Lega e di Fratelli d’Italia contraria.

Bisogna dire che la proposta di Marattin e dei suoi colleghi è invecchiata male, ancor prima di essere incardinata. Infatti è stata presentata il 16 dicembre ed il successivo 5 gennaio il professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera ha stroncato le motivazioni addotte dai parlamentari nelle due pagine di presentazione della proposta. Nella quale leggiamo che “il MES attenua i rischi di contagio connessi con eventuali crisi di un Paese dell’area euro, rischi che in passato si sono materializzati e hanno avuto anche gravi ripercussioni sul nostro Paese, e riduce la probabilità di un default sovrano, almeno per i Paesi le cui difficoltà sono temporanee possono essere risolte con prestiti o linee di credito.

Purtroppo per i proponenti, Giavazzi – che citiamo solo perché non sospettabile di euroscetticismo pregiudiziale ed ultimo tra i tanti che hanno evidenziato le criticità del Mes – ha affermato che l’effetto salvifico del Mes è del tutto illusorio, in quanto segnala ai mercati la difficoltà e finisce per aizzare la speculazione, anziché fermarla. Semina instabilità finanziaria ed aumenta la probabilità di un default sul debito sovrano, perché fa scappare gli investitori dai titoli del Paese interessato che non può quindi rifinanziare il debito in scadenza. Sul punto, si segnala un pregevole intervento di Alessandro Mangia, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano, che sul Mes scrive ormai da anni.

Né ha maggior fortuna e pregio un’altra serie di motivazioni portata da Marattin e compagni, quando affermano che “esso non avrà alcun compito di sorveglianza fiscale ai sensi del Patto di stabilità e crescita, e la sua attività sarà vincolata al rispetto della legislazione dell’Unione europea; inoltre, la valutazione complessiva della situazione economica dei Paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di stabilità e crescita e della procedura per gli squilibri macroeconomici rimarrà responsabilità esclusiva della Commissione”.

Invece il compito di sorveglianza fiscale, e pure rafforzata, è specificamente assegnato al Mes dal regolamento 472 del 2013 che lo recepisce nelle proprie linee guida applicative. Il Mes si aggiunge alla Commissione e lavora a braccetto con essa. In aggiunta, l’analisi di sostenibilità del debito, pur eseguita a fini interni, introduce un ulteriore elemento di valutazione della situazione del Paese, soggetta ad elevata discrezionalità. Non subisce una sorte migliore nemmeno l’argomento che la riforma del Mes è utile perché fornirebbe un prestito al fondo di risoluzione delle crisi bancarie. Ci ha già pensato Giavazzi a spiegare in due parole che fondo e prestito sarebbero spazzati via in caso di crisi di una banca sistemica. Solo chi ha risorse illimitate può fornire reti di protezione.

L’effettivo stato dell’arte del Mes è quello di un progetto di solidarietà per affrontare le crisi, partito bene nel 2008 ma snaturato sotto la spinta dell’emergenza della crisi del debito del 2011/2012. Da allora, mai più utilizzato da nessuno per l’impopolarità e pro ciclicità dei metodi di intervento imposti dalla Troika, e la riforma nulla modifica di tali strutturali difetti. Anzi, ne inasprisce alcuni aspetti particolarmente vessatori, come l’impossibilità sostanziale di accedere alla linea di credito precauzionale.

Né ha fondatezza l’argomento che ratificare il Mes non equivale a richiederne i prestiti. Poiché l’effettivo utilizzo del Mes non potrà mai essere una scelta, ma sarà il Mes a bussare alla porta del malcapitato Paese privo di alternative di finanziamento con i mercati in subbuglio, l’unico ed ultimo momento buono per esercitare una scelta è quello della (non) ratifica.

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