skip to Main Content

Chi pagherà e quanto costa la riforma degli ammortizzatori sociali made in Orlando?

Intesa rimandata fra governo e sindacati sulla riforma degli ammortizzatori sociali presentata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando (Pd). Ecco come e perché

 

Tensioni latenti ministeriali e associative sui costi della riforma degli ammortizzatori sociali.

Quanto costa? E chi paga?

“Se qualcuno sostiene che la riforma degli ammortizzatori sociali debba essere universale e quindi fatta con la finanza pubblica, sbaglia di grosso” perché “servono risorse importanti e investimenti consistenti” ma “c’è qualche associazione che pensa già di scaricare tutto sui lavoratori, magari facendo slittare di anni il rinnovo del contratto. Non si può ragionare così, soprattutto dopo tutto quello che è successo in questo anno e mezzo. La riforma degli ammortizzatori sociali riguarda tutti, lavoratori e aziende e ognuno deve contribuire per far ripartire il Paese, ognuno deve fare la sua parte, senza pensare di scaricare i costi sui lavoratori”. Così, Pierpaolo Bombardieri, segretario Uil, in un’intervista al Corriere della Sera.Per il sindacalista, la riforma del ministro Orlando “è buona perché copre tutti i lavoratori. È una risposta positiva alle nostre richieste”, anche se “è necessario avviare anche un grande piano di riqualificazione e formazione professionale per tutti quei lavoratori che oggi prendono la Naspi”.

Insomma, quanto costa la riforma degli ammortizzatori sociali? E chi paga?

Complessivamente, la riforma Orlando costerebbe, secondo le prime stime del Mef, intorno agli 8 miliardi, un paio di miliardi in più rispetto ai 6 indicati dal ministero del Lavoro, ha scritto il Sole 24 Ore: “Attualmente si può contare sugli 1,5 miliardi recuperati dallo stop anticipato del cashback 2021. Probabilmente anche per questo, il capitolo autonomi prevede solo l’eventuale messa a regime dell’Iscro, l’indennità attualmente prevista per i circa 300mila iscritti alla gestione separata Inps”.

Insomma, l’intesa non è arrivata. Motivo: mancano numeri e costi. “Tutto rimandato dunque a settembre – ha chiosato Repubblica – il 2 del prossimo mese per provare a impostare il quadro delle politiche attive, subito dopo per chiudere sugli ammortizzatori e affidare così le linee guida al ministero dell’Economia che dovrà tradurle in coperture da inserire in legge di bilancio per il 2022″.

Beninteso, sono tutti d’accordo — governo, sindacati e imprese — sul fatto che serva un sistema di ammortizzatori sociali universale, cioè che sostenga i redditi di tutti i lavoratori, non solo dei dipendenti delle aziende medio-grandi. Ma tutte le organizzazioni presenti ieri all’incontro con il ministro del Lavoro hanno chiesto chiarimenti su questo ad Andrea Orlando. Che però ha risposto di non essere in grado per ora di rispondere, perché dipenderà dalle risorse che verranno messe a disposizione con la legge di Bilancio, ha sottolineato il Corriere della Sera: “Le stime dicono che servirebbero 6-8 miliardi e per questo il ministro dell’Economia, Daniele Franco, avrebbe tirato il freno”.

Ma che cosa prevede il documento di sei pagine illustrato da Orlando, titolato «Riforma degli ammortizzatori sociali» (anticipato domenica da Start Magazine), nonostante sia abbastanza dettagliato sugli strumenti da mettere in campo, sui costi si limiti a una generica «previsione di accompagnamento a carico della fiscalità generale nel triennio 2022-2024». L’idea è che per i primi tre anni le imprese che finora non hanno pagato contributi per gli ammortizzatori (ma durante la pandemia hanno potuto utilizzare la cig in deroga a carico del bilancio pubblico) non siano gravate di costi eccessivi. Per questo si ipotizza un percorso graduale. L’obiettivo è che «non vi siano lavoratori esclusi dal sistema di protezione sociale», si legge.

Col suo documento il ministro propone di includere nel sistema «tutti i lavoratori subordinati, anche con una minima anzianità di lavoro, compresi gli apprendisti e i lavoratori a domicilio». Strumenti ad hoc sarebbero previsti per gli autonomi. La cassa integrazione verrebbe estesa alle aziende fino a 5 dipendenti, per una durata massima di 13 settimane. Il massimale dell’indennità salirebbe per tutte le categorie a 1.199 euro al mese.

Un’altra novità è il meccanismo bonus- malus: le imprese che non fanno ricorso alla cig «per un tempo significativo» beneficiano di un taglio della contribuzione addizionale. La cassa integrazione straordinaria sarebbe possibile anche per i «processi di transizione» ed estesa al le imprese con meno di 16 dipendenti. Previste due nuove causali: la «prospettata cessazione dell’attività» e la «liquidazione». Si propone anche una riforma della Naspi (indennità di disoccupazione) riducendo i requisiti di accesso e posticipando dal quarto al sesto mese il décalage dell’assegno, eliminandolo per gli over 50, e il potenziamento dell’indennità Discoll per i collaboratori, ha sintetizzato il Corriere della sera.

A dividere sulle stime dei costi sono anche le ipotizzate modifiche a Naspi e Dis-coll (l’indennità per i collaboratori), ha aggiunto il Sole 24 Ore: “Nello specifico, per la Naspi la bozza di riforma prevede l’allentamento dei requisiti d’accesso (scomparirà il riferimento alle 30 giornate effettive nell’ultimo anno) e si posticipa il meccamismo di décalage (che taglia mensilmente del 3% l’importo dal 4 mese) con un trattamento di maggior favore per i lavoratori più anziani (over 50-55). Quanto alla Dis-coll si innalza la durata massima, garantendo un numero di mesi pari ai mesi di contribuzione versata, e si riconosce la contribuzione figurativa”.

Back To Top