Qual è stato l’esito dell’Economia sulla riforma del Patto di stabilità? Come si è mossa l’Italia? E quali sono le prospettive in termini di finanza pubblica ora per il governo Meloni?
Ecco valutazioni, commenti e scenari secondo i quotidiani Il Sole 24 ore, Corriere della sera, Repubblica, Libero e Giornale.
L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE
Non si meraviglia dell’esito dell’Ecofin il quotidiano economico-finanziario Il Sole 24 ore: “Le indicazioni emerse nell’attesa del testo ufficiale non sembrano centrare l’obiettivo iniziale della semplicità delle regole, che nelle intenzioni della Commissione avrebbero dovuto abbandonare i calcoli, spesso cervellotici, sui saldi strutturali corretti per il ciclo, tornati invece centrali con gli emendamenti franco-tedeschi. In ogni caso, i parametri partoriti dalla trattativa e soprattutto la loro declinazione temporale evitano il rischio che le regole Ue impongano una manovra correttiva già dall’anno prossimo, alla vigilia del voto di giugno. A premere in questa direzione potrà essere una crescita che secondo le previsioni aggiornate è destinata a fermarsi molto sotto l’obiettivo dell’1,2% fissato dal Governo, mettendo a rischio i target sul deficit e la marginale riduzione del debito programmata dalla NaDef. Ma questa partita si gioca sul terreno della realtà, che prescinde dal valzer dei parametri comunitari”.
In prospettiva, ha aggiunto il quotidiano di Confindustria, “anche la riduzione dello 0,5% all’anno del deficit strutturale chiesta dal braccio correttivo, quello che si rivolge ai Paesi in disavanzo eccessivo fra i quali è destinata a rientrare anche l’Italia, è già presente nel programma ufficiale di finanza pubblica dei prossimi anni. Certamente è chiusa la strada dell’extradeficit per trovare i 14,5 miliardi necessari a replicare nel 2025 il taglio del cuneo fiscale e gli sconti dell’Irpef a tre aliquote: ma l’idea che il nuovo Patto aprisse spazi ulteriori di disavanzo italiano non è mai stata nel novero delle ipotesi”.
L’APPROFONDIMENTO DEL CORRIERE DELLA SERA
Secondo il Corriere della sera, l’esito dell’Ecofin è una sorta di compromesso fra la Germania, capofila dei Frugali, che voleva parametri comuni misurabili per la riduzione del debito pubblico e del deficit, e la Francia, che insieme all’Italia e agli altri Paesi del Sud ad alto debito pubblico voleva preservare la capacità di investimento e di manovra per non compromettere la crescita futura. Che poi era anche lo spirito della riforma presentata dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni e dal vicepresidente Valdis Dombrovskis, aggiunge il quotidiano Rcs: semplificazione delle vecchie regole e piani nazionali su misura, in quattro o sette anni, basati sulla spesa primaria netta per il rientro del debito che tengano conto delle specificità nazionali. In più la Germania, ma anche l’Olanda, ha insistito ottenendo l’aggiunta di due salvaguardie sul debito e sul deficit. «L’introduzione di questi ulteriori parametri numerici certamente rende l’insieme del meccanismo delle regole più complesso» ha ammesso Gentiloni, aggiungendo che «sarà un gran lavoro da fare per la Commissione insieme ai diversi Paesi per avere questi piani di medio termine funzionanti per l’obiettivo di assicurare stabilità e crescita insieme». Ma ha anche assicurato che «i parametri numerici sono tutti parametri che i diversi Paesi, inclusa l’Italia, possono affrontare. Sono realisti». In cambio – chiosa il Corsera – “i Paesi indebitati portano a casa una flessibilità per gli anni 2025, 2026 e 2027 legata ai maggiori interessi sul debito e agli investimenti in green, digitale e difesa: la Commissione, per non compromettere gli effetti positivi del Pnrr, ne terrà conto nelle procedure per deficit eccessivo quando definirà il parametro di riduzione annua”.
LO SCENARIO SECONDO REPUBBLICA E LA STAMPA
Prospettive fosche per il governo Meloni secondo Repubblica: “Senza il salvagente del deficit, non potrà garantire la conferma del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef per i redditi medio-bassi nel 2025 , che al momento è coperta solo per il 2024. Un bel guaio per la premier che si era impegnata addirittura a rendere strutturale l’aumento in busta paga. E invece il prossimo autunno dovrà andare a caccia di 15 miliardi se non vorrà ingranare la retromarcia”.
La Stampa, sempre del gruppo Gedi, ha rimarcato sullo stesso tema: “La correzione del deficit strutturale è già prevista dalla Nadef, quindi il governo non dovrà fare la tanto temuta manovra correttiva prima delle europee. Il problema si pone per la legge di Bilancio del 2025 perché l’Italia andrà sotto procedura di infrazione avendo un indebitamento oltre il 3%. È la fine delle manovre in deficit, ci vorranno coperture concrete: tagli alla spesa o nuove tasse. Il rischio è non riuscire a rinnovare lo sgravio sul cuneo fiscale che vale circa 15 miliardi”.
IL COMMENTO DI LIBERO QUOTIDIANO
Diversi i commenti dei quotidiani vicini all’esecutivo. Addio austerity, da oggi l’Unione europea può davvero cambiare volto: è in sostanza la posizione del quotidiano Libero diretto da Mario Sechi. L’accordo sul nuovo Patto di stabilità raggiunto mercoledì sera dai Paesi Ue accoglie molte delle richieste fatte dal governo italiano e “mette in evidenza un fatto di non poco conto – sottolinea Libero -: se vai in Europa col cappello in mano non porti a casa nulla; al contrario se ci vai facendo rispettosamente valere le tue ragioni trovi interlocutori disposti ad ascoltarti e ad assecondarti”. Le nuove regole permetteranno di tenere i conti pubblici in ordine consentendo le spese per le transizioni verde e digitale.”Fondamentale, per il via libera unanime, la clausola transitoria cara all’Italia che tiene conto dell’aumento del costo degli interessi sul ripagamento dei titoli di debito pubblico a seguito dell’aumento dei tassi operato dalla Bce”, scrive il quotidiano del gruppo Angelucci. Fino al 2027 le regole di bilancio comuni saranno applicate con flessibilità, con la Commissione che terrà conto del maggior onere dovuto all’aumento dei tassi senza così incidere sui margini di spesa.
L’EDITORIALE DEL GIORNALE
Sottolinea il ruolo del governo italiano nel negoziato e intravvede aspetti positivi anche l’editoriale del quotidiano Il Giornale: “lla fine, per dirla con le parole di Giorgetti, ha prevalso la logica del compromesso, dove non tutto è andato per il verso voluto sebbene alla fine anche la Germania sia stata costretta a fare un passo indietro, se è vero che ha dovuto rinunciare alle pretese più ruvide in materia di debito consentendo all’Italia una realistica e graduale riduzione”.
Ha aggiunto Osvaldo De Paolini, vicedirettore del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti: “Si potrà meglio misurare nei prossimi giorni l’efficacia delle formule, magari scoprendo che il governo italiano si è trovato costretto ad accettare di fermarsi un passo prima del risultato ideale che pure sostiene di avere conseguito. L’importante è che le nuove norme incoraggino effettivamente la realizzazione delle riforme, accordando la giusta considerazione agli investimenti che ogni Stato membro ritenga di dover realizzare per impedire che la crescita economica non venga mortificata. E se ciò richiederà che la Banca centrale europea anticipi di qualche mese la manovra al ribasso sui tassi, che oggi pervicacemente sembra voler rinviare troppo in là, sarà dovere delle autorità europee fare in modo che l’Eurotower non cada nell’errore opposto a quello che due anni fa l’ha vista crocifissa dai mercati per aver sottovalutato l’avanzare dell’inflazione”.
“Resta l’amarezza – conclude l’editoriale del Giornale – di un Patto che risente ancora dell’influenza della Germania che, sebbene conti tuttora su strutture economiche forti, come ha spiegato di recente l’economista Mario Monti, oggi appare appannata nelle decisioni cruciali, ha perso in autorità morale, a volte esporta instabilità o ricorre a trucchi e artifici contabili. Sarebbe stato invece auspicabile che approfittando di una riforma che nei prossimi anni inciderà severamente sui destini di tutti gli europei, si fosse puntato a dare molto più vigore alla procedura contro gli squilibri macroeconomici, costringendo la Germania a farsi carico di un sostegno reale all’Europa, invece che preoccuparsi esclusivamente dei cittadini tedeschi, visto che al bilancio dell’Unione partecipano concretamente tutti i 27 partner.