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Oro Russo

Che fare delle riserve auree?

Il post di Giuliano Cazzola, blogger di Start Magazine

 

L’Aula del Senato, il 3 aprile scorso, ha approvato la mozione di maggioranza che impegna il Governo ad adottare le opportune iniziative al fine di definire l’assetto delle proprietà delle riserve auree detenute dalla Banca centrale nel rispetto della normativa europea; nonché ad adottare le iniziative opportune per acquisire, anche attraverso la Banca d’Italia, le notizie relative alla consistenza e allo stato di conservazione delle riserve auree ancora detenute all’estero e le modalità per l’eventuale rimpatrio, oltre che le relative tempistiche. C’è aria di oro alla Patria, nel ricordo di quel 18 dicembre 1935 quando Benito Mussolini raccolse ben 35,5 tonnellate di oro e 114 di argento (le fedi nuziali e gli oggetti preziosi degli italiani) allo scopo di replicare alle ‘’inique sanzioni’’ (c’è sempre un nemico esterno da contestare). Di questo voto si è parlato meno di quanto sarebbe stato opportuno. Eppure, non è venuto meno il dubbio che taluni settori della maggioranza, su input della Lega, pensino di alleggerire le casse del nostro Fort Knox per continuare indisturbati nelle politiche di dissipazione dei conti pubblici senza ‘’dover pagare dazio’’.

A chi appartengono le riserve auree del Paese: alla Banca d’Italia o al Tesoro, in quanto rappresentante del popolo italiano? Il quesito venne sollevato anni or sono tra via Nazionale (allora governata da Mario Draghi) e via XX Settembre (dove il compianto Tommaso Padoa Schioppa sedeva sulla poltrona di Quintino Sella).

La discussione, anche allora, non era solo in punta di diritto: perché, sul piano delle regole, era già stata risolta. Secondo quanto previsto dal Trattato di Maastricht, è la Banca centrale titolare dell’in nome dei principi di stabilità finanziaria, tanto che nel 1998 Bankitalia dovette formalmente acquistare le riserve dall’Ufficio italiano cambi e il relativo controvalore venne incamerato dal Tesoro. Ciò non significa che le riserve siano comunque pietrificate ed inutilizzabili.

Da questo punto di vista, non era infondata la tesi di Padoa Schioppa quando sosteneva che, nell’Unione, in taluni casi era stato possibile avvalersi delle eccedenze per correggere il debito. Avendo l’Italia uno dei debiti pubblici più elevati dei paesi industrializzati (peraltro in continua crescita) ed essendo ormai con le spalle al muro a causa di questo suo handicap strutturale (lo si vede dall’arrancare dei tassi d’interessi), è facile arrivare rapidamente alle conclusioni.

Che cosa fa un famiglia indebitata? Vende l’argenteria. Nel caso di un Paese, il Governo dismette parte delle riserve auree. Già ci sembra di sentirli i ministri giallo-verdi sempre alla ricerca di e di da redistribuire: “L’oro appartiene al popolo che ne ha diritto per vivere meglio anche standosene sul divano di casa e per andare in pensione quando vuole perché lavorare stanca!”. Prima ancora di suscitare grosse perplessità sul piano giuridico-formale a livello europeo e soprattutto dell’Eurozona (Paesi che hanno in comune la moneta devono necessariamente avere voce in capitolo sul complesso delle riserve che ne garantiscono la stabilità) la questione si presenta molto delicata anche sul piano interno.

Ora, è ancora troppo vivo il dibattito politico svoltosi negli ultimi mesi per non essere preoccupati dell’uso improprio che un Governo, condizionato da forti componenti di un massimalismo populista, potrebbe fare delle riserve auree. E’ troppo precaria ed incerta la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (50 miliardi in due rate) per non temere l’impiego dell’oro della Patria per scopi ed obiettivi ben poco commendevoli e agli antipodi degli obiettivi di crescita economica e dell’occupazione.

Un’operazione che metta in campo le riserve auree, dunque, non ha bisogno solo dei bolli e controbolli della Ue, ma anche di un forte impegno, all’interno dei nostri confini, per debellare il mostro onnivoro della spesa corrente, ridurre la pressione fiscale ed invertire il ciclo del debito. Visto che tali condizioni non esistono, è meglio chiudere il discorso. E lasciare l’oro dove sta, in Italia e all’estero. Per non sprecare anche queste risorse ai danni delle generazioni future.

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