La Procura di Milano, oltre a voler vederci chiaro, intende agire in fretta. È per questo motivo che, nell’ambito dell’inchiesta sulla vendita di quote di Monte dei Paschi di Siena, già tempo fa avrebbe sentito l’ad di Unicredit, Andrea Orcel. Ma anche il general counsel di Mediobanca, praticamente il capo del legale, Stefano Vincenzi. E sembra certo che anche nei prossimi giorni sentirà figure simili, per cercare di capirci di più in merito alla cessione da parte del ministero dell’Economia del 15% di titoli di Mps a soli quattro soggetti: Delfin (3,5%), il gruppo Caltagirone (3,5%), Banco Bpm (5%) e Anima (3%). Un’operazione terminata il 13 novembre scorso.
LE MODALITÀ DELLA VENDITA DI MPS
A essere sotto le lenti dei pm di Milano sono le modalità della vendita di quel 15%. Secondo quanto riporta Repubblica, “le ipotesi al vaglio oscillano dall’aggiotaggio all’ostacolo alla vigilanza”. Le stranezze sarebbero diverse, come sottolineato dal Corriere della Sera, e la prima riguarda Banca Akros (gruppo Banco Bpm), non indagata, ma incaricata della gestione dell’asta: un piccolo istituto “senza analoghi passati incarichi di queste dimensioni patrimoniali”. La seconda è il fatto che “rispetto a due precedenti vendite di quote statali di Mps”, dove le azioni “erano state offerte a un centinaio di investitori istituzionali”, in quest’ultimo caso sono stati “invitati solo Banco Bpm, Anima (controllata da Bpm) e Caltagirone e Delfin (Del Vecchio), cioè due soggetti che col non celato favore del governo appaiono posizionati in sintonia, oltre che su Mps (9,9% e 9,8%), anche su Generali (7% e 10,5%) e Mediobanca (9,9% e 19,8%).
Infine, c’è un’altra questione: il nodo del tempismo. Nel giro di nove minuti, i quattro istituti invitati da Banca Akros, hanno offerto allo Stato “il medesimo premio sul valore di Mps: il 5% in più, sufficiente a scongiurare eventuali polemiche su (s)vendite statali”, evidenzia ancora il Corriere.
IL TENTATIVO DI ORCEL SU MPS
Il problema è che, per esempio, Unicredit di Orcel avrebbe provato a comprare una quota del 10% di Mps durante la vendita di novembre. Un tentativo andato a vuoto con Akros, secondo quanto ha raccontato ormai mesi fa il Financial Times. Per Repubblica, “è da ricordare che Orcel nel 2021, all’epoca del governo di Mario Draghi, aveva negoziato l’acquisto del Monte con lo Stato, disponibile a farsi carico di un aumento di capitale da 2 miliardi per mettere in sicurezza Siena e un impegno complessivo che superava 5 miliardi tra Dta e imposte rinunciate. Mentre Unicredit avrebbe chiesto che lo Stato sottoscrivesse un aumento da 6,3 miliardi per l’intera Mps. E l’operazione era saltata”.
LA QUERELA DI MEDIOBANCA E IL BOOMERANG DEL GIORNALE
Anche Vincenzi, di Mediobanca, è stato ascoltato dalla Procura come persona informata dei fatti. Sarebbe lui il firmatario della querela per diffamazione (contro un articolo del quotidiano Il Giornale, secondo le cronache di questi giorni), poi diventata contenitore per indagini, come ricordato ancora da Repubblica. “Nella denuncia si fa riferimento alla contestata vendita di azioni di novembre, collocate con un premio del 5% da Akros e in pochi minuti acquisite dalle quattro realtà”, scrive il quotidiano del gruppo Gedi. Che rimarca anche l’elenco di operazioni presenti nella querela “sin dal 2019, quando il gruppo Caltagirone e Delfin cominciano ad acquistare azioni Generali e di Mediobanca. Ma quei casi erano già stati portati all’attenzione di Consob e Ivass che nel 2022 non avevano evidenziato violazioni”.
Secondo la ricostruzione dell’agenzia Alliance news, “la querela sarebbe stata poi integrata a marzo con altri articoli di giornale, ma l’obiettivo non era l’editore del Giornale, ovvero il senatore Antonio Angelucci, esponente della Lega e imprenditore molto vicino sia a Matteo Salvini che a Giorgia Meloni. Lo si è capito nelle ultime ore. L’obiettivo era ben più ambizioso. La querela per diffamazione ha dato modo a Mediobanca di attirare l’attenzione dei PM sulle Ops in corso e, in particolar modo, sulla terza tranche della privatizzazione del Monte dei Paschi di Siena, che ha tagliato fuori tutti i possibili alleati di Mediobanca, privilegiando il collocamento delle azioni a Caltagirone e Del Vecchio”.
IL RUOLO E I CONTI DI BANCA AKROS
In tutto ciò, l’attore parallelo che oggi sembra aver beneficiato quasi più di tutti dalla vendita di quel 15% di Mps è Banca Akros. L’istituto, il cui azionista di controllo è proprio Banco Bpm, infatti, ha gestito l’asta come intermediario. Incassando parecchi soldi. In totale la vendita del 15% di Mps ha portato nelle casse dello Stato 1,1 miliardi di euro. Come riportato dal quotidiano Domani, Akros l’anno scorso “ha visto raddoppiare i proventi per il collocamento titoli, passati da 11,1 a 21,5 milioni di euro. Un aumento spiegato dalla stessa banca, che ha sottolineato in una relazione la “particolare rilevanza” delle “commissioni registrate a fronte dell’operazione stipulata con il ministero dell’Economia e delle Finanze connessa alla cessione da parte di quest’ultimo del 15% di Mps dove Banca Akros ha agito nel ruolo di Global Coordinator e Bookrunner”.
E c’è di più. “Nel 2023 i conti di Banca Akros, al netto delle operazioni straordinarie, si erano chiusi in rosso di 4,1 milioni. L’anno successivo invece il bilancio è tornato in utile per 21 milioni grazie anche ai proventi di un’operazione, il collocamento del 15 per cento di Mps, che per dimensioni non ha eguali tra quelle segnalate in bilancio”, ribadisce Domani.