Ebbene sì, lo ammetto. Sono tra quanti provano “compiacimento per le difficoltà che si stagliano all’orizzonte, mentre fa capolino la speranza che, alla fine, l’Italia sarà costretta a cedere. Bere l’amaro calice di una manovra correttiva, che già si quota in circa 10 miliardi, nel prossimo biennio. O subire l’onta di una procedura d’infrazione che non lascerebbe scampo per gli anni avvenire”. Anzi, se mi fosse consentito di scegliere, preferirei che il governo giallo-verde tenesse duro fino al punto di trovarsi sotto procedura d’infrazione, isolato politicamente e sottoposto alle reazioni dei mercati.
Per me gli organismi comunitari sono come forze di liberazione; le loro iniziative sono nel nostro interesse se impediscono agli irresponsabili che ci governano di combinare ulteriori guai e di accumulare danni ancora più gravi, ben più irreparabili di una manovra correttiva. Non riesco proprio a capire come si possa difendere l’attuale esecutivo e la maggioranza che lo sostiene a giorni alterni.
Vogliamo fare l’elenco delle ‘’sette piaghe d’Egitto’’ che ci perseguiteranno fino a quando non riusciremo a cacciarli? Cominciamo dall’economia. La legge di bilancio non ha prodotto alcun risultato di quelli promessi. Il tasso di crescita su cui si basava la manovra non solo non ci sarà nella misura prevista (ancorchè ridotta su pressione della perfida Ue) ma è addirittura incerta una percentuale, da prefisso telefonico, di segno positivo. I due provvedimenti che avrebbero dovuto creare posti di lavoro (le deroghe sperimentali e temporanee alla riforma Fornero e le politiche attive affidate ai centri per l’impiego), debellare la povertà (il RdC) e rilanciare il mercato interno, sono miseramente fallite, non a causa della inadeguatezza delle risorse stanziate, ma per effetto della mancata adesione delle platee previste. Sbagliare le previsioni quando le risorse sono scarse è grave, soprattutto se si sottraggano stanziamenti allo sviluppo per destinarli all’assistenza. Tanto che sono in vista risparmi consistenti – per i due fondi gemelli e comunicanti, istituiti presso il ministero del Lavoro – nell’ordine di un ammontare che, nel triennio, si aggira al di sopra di 7 miliardi. Sarà proprio questo duplice fallimento a consentire al governo di evitare la manovra correttiva chiesta dall’Unione. Le opere pubbliche sono ferme: il decreto ‘’sblocca cantieri ‘’è tuttora in prova, ma ha già subito le critiche dell’Anac e delle organizzazioni sindacali. Le crisi di importanti imprese si accumulano sul tavolo del Ministero dello Sviluppo economico, dopo che Di Maio ha deciso di privarsi di una struttura con decenni di esperienza nella gestione di questi processi.
Il Capitano ha fatto di tutto per inimicarsi le istituzioni europee, con veri e propri atti di provocazione gratuita ed inutile (dalla necessità di sfondare il tetto del 3% fino alla pagliacciata dei minibot), nonostante che, vittorioso in Italia, fosse stato clamorosamente sconfitto a livello europeo. Perché la realtà è questa: gli eletti della Lega e del M5S si aggirano sperduti all’interno del Parlamento di Strasburgo alla ricerca di una possibile alleanza che nessuno offre loro, neppure nelle aree assegnate ai sovranpopulisti. Ma Salvini sognava di entrare da trionfatore nell’emiciclo minacciando di trasformare quell’aula sorda e grigia in un bivacco per i suoi manipoli. Ha dovuto ricredersi. Quanto alla prossima legge di bilancio la linea l’ha data il Prof. Paolo Savona illustrando la relazione della Consob, cincischiando con il livello del debito pubblico e lamentandosi di un pregiudizio nei confronti dell’Italia nello stesso momento in cui forniva un enorme contributo ad alimentarlo.
Ma l’economia e la finanza non esauriscono i problemi del Paese. Che cosa pensano i neo-patrioti di un Paese che vara in pochi mesi due decreti sulla sicurezza, identificando il nemico nel ‘’nero periglio che vien da lo mare’’(come stava scritto nella pergamena trovata da Brancaleone)? E come giudicano la legge sulla legittima difesa con le sue presunzioni assolute di proporzionalità e di mancanza di eccesso, tanto da introdurre la pena di morte in maniera autogestita? E che diranno i nostri allorché sarà abolita la prescrizione dopo la sentenza di primo grado (anche in caso di assoluzione)? Ecco perché io considero le istituzioni europee come la nostra unica possibilità di salvezza, non solo per evitare il collasso finanziario ed economico, ma anche per salvaguardare un ordinato vivere civile. La concezione della democrazia delle forze sovranpopuliste è impregnato del principio del Führerprinzip, traducibile in “principio del capo” o, ancor meglio, in “principio di supremazia del capo”, che era il caposaldo dell’ordinamento statuale dei totalitarismi del secolo scorso. La volontà del ‘’capo’’, come principale fonte di diritto, non si esprime solo sul piano interno dei partiti e dei movimenti (in fondo – si può dire – che ci sono stati altri casi in altri momenti e con altri leader). Oggi ‘’il principio del capo’’ si è trasferito nelle istituzioni; ormai, non esistono più regole, leggi, ma solo ordini, direttive, post trasmessi per via telematica.
I neo-patrioti di solito replicano a queste considerazioni ricordando che il Capitano ha vinto le elezioni. Molti di loro sono grandi ed hanno vissuto quando la Dc prendeva più voti della Lega di oggi. Non hanno mai pensato, però, di diventare democristiani. Anzi andavano in giro dicendo che non volevano morire sotto quel regime. Il destino (con qualche aggiustamento di uomini in toga) li ha accontentati. Ma il fato è cinico e baro: toccherà loro di morire parafascisti. E il premier Giuseppe Conte e il ministro Giovanni Tria, ritenuti troppo accondiscendenti nei confronti di Bruxelles, rischiano di essere processati e fucilati alla schiena in quel di Verona.