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Che cosa penso della manovra Di Maio-Salvini (e del futuro di Tria)

Il post dell'editorialista Giuliano Cazzola, blogger di Start Magazine, sulla Nota di aggiornamento al Def e sul ruolo del ministro dell'Economia, Giovanni Tria

L’adunata sotto Palazzo Chigi per festeggiare la “vittoria’’ per lo sfondamento del deficit ricorda – pur nella sua miserabile dimensione – altre manifestazioni popolari di giubilo incuranti di svolgersi sull’orlo di un baratro profondo che si avvicinava sempre di più.

Evita Peròn promise ai descamisados che lo Stato avrebbe regalato a tutte le famiglie argentine una lavatrice, quando la metà del Paese non fruiva ancora dell’elettrificazione e, una larga parte, degli impianti di acqua corrente.

Achille Lauro – candidandosi a sindaco di Napoli – prometteva agli elettori che, in caso di sua elezione, sarebbe stata aggiunta anche la scarpa sinistra alla destra, già distribuita dai suoi galoppini.

Persino Maduro a Caracas ha trovato qualcuno che – nonostante gli stimoli della fame – si recasse a festeggiarne la vittoria elettorale. A questi ragazzotti, poi, ignoranti come zucche vuote, qualcuno dovrebbe spiegare che porta sfortuna – a sé e al Paese – arringare la plebe dai balconi.

Palazzo Chigi è ad un tiro di schioppo da Piazza Venezia. Ma che cosa (e contro chi) hanno vinto i ‘’grillini’’ giovedì notte, spostando il deficit per un triennio al 2,4% del Pil? Non certo contro i mercati, gli osservatori internazionali, le istituzioni europee, le agenzie di rating, i fondi di investimento e quanti altri rappresentano quel mondo che ‘’dovrà farsi una ragione’’ delle esigenze di un popolo che ha ritrovato la sua sovranità.

Con gli “gnomi di Zurigo’’ (come si diceva una volta) la guerra è appena iniziata. E le guerre si sa come cominciano ma non come e quando finiscono. Tuttavia, uno sconfitto c’è. E’ il titolare del Mef, prof. Giovanni Tria, costretto a rimettere nel sacco le pive dei conti pubblici e ad inghiottire la pillola amara della delegittimazione.

Si racconta che sia stato il presidente Mattarella a scongiurarlo di non dimettersi e a chiedergli di restare al suo posto, per non peggiorare ulteriormente la situazione. Poi il Capo dello Stato è intervenuto con una dichiarazione preoccupata sulla manovra che si annuncia, ricevendo in cambio, dai fratelli De Rege, una risposta piccata come quella che si dà ad un vecchio zio che insiste per mangiare il dolce nonostante il diabete. Tria, che è una brava persona, ha obbedito. Ma a che cosa servirà la sua permanenza in Via XX settembre? A difendere i dirigenti minacciati da Rocco Casalino?

Sarebbe già abbastanza: ma saranno disponibili, questi ultimi, ad assumere decisioni ossequienti al potere costituito, nella consapevolezza di fare il danno del Paese? In un regime istituzionale che, per di più, si fonda sul principio Führerprinzip, in base al quale l’ordine del capo è la principale fonte di diritto?

Per come si sono messe le cose, il Mef è ormai un fortilizio assediato: l’avamposto degli uomini perduti. Le forze che vi resistono ancora possono tirare avanti sempre con maggiori difficoltà; ogni tanto tenteranno delle sortite, subito respinte. Fino all’inevitabile resa. E’ vero: in politica non esistono ultime trincee; possono presentarsi occasioni per recuperare lo smacco subito, perché ogni giorno ha la sua pena.

Ma le conclusioni vanno tirate il prima possibile. Tria credeva di essere una sorta di Cid Campeador, in grado di mettere in fuga i Mori, ancorché issato a cavallo da cadavere (lunga vita a Giovanni); si è rivelato invece una sorta di Cavaliere inesistente o, se si preferisce, di Visconte dimezzato.

Non ci voleva molta fantasia per immaginare che sarebbe finita così. Quando un’amica giornalista mi chiese informazioni su di un certo prof. Giovanni Tria, possibile candidato al Mef, io – che lo conoscevo da decenni – rimasi come una statua di sale. ‘

’Ma chi glielo ha fatto fare’’: mi chiesi? E mi vennero pure dei pensieri maligni. Poi ebbi una piacevole sorpresa nel leggere la sua prima intervista al Corriere della Sera. Mi colse il dubbio che avesse sbagliato governo e che fosse un ministro di Mario Monti dimenticato nei corridoi del Tesoro. Anche altre sue dichiarazioni sono state corrette e coraggiose (tranne una piccola caduta di stile quando sottoscrisse un comunicato con Giggino Di Maio ai tempi della famosa tabella che accompagnava il decreto (in)dignità).

Ma le battaglie politiche si perdono anche a causa di errori soggettivi. E non c’è dubbio che Tria abbia sopravvalutato (o gli abbiano fatto sopravvalutare) il suo potere. Così è partito per la crociata in difesa del Santo Sepolcro europeo, disarmato come Pietro L’Eremita. E si è dovuto fermare alla prima salita. Dicono che se avesse dato le dimissioni per l’Italia sarebbe stato un disastro.

Peggio di così? Si renderà conto il prof. Tria che a Bruxelles, prima di conoscere il suo parere, i colleghi gli chiederanno garbatamente se ha telefonato a Roma per ottenere l’autorizzazione? Anzi, ammesso e non concesso che la Ue intenda negoziare con la ‘’banda del buco’’, è meglio avere a che fare con un interlocutore che ne sia autorevole componente. Un Giancarlo Giorgetti, per esempio.

Abbiamo già un presidente del Consiglio che rappresenta a mala pena se stesso. Adesso anche il ministro dell’Economia – prima minacciato, poi vilipeso – è stato indicato dal balcone come un nemico del popolo, ora sconfitto. Continuiamo pure a farci del male.

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