Ancora prima dell’introduzione dell’euro erano state sottolineate la peculiare condizione di una moneta senza Stato, la solitudine istituzionale della BCE, i problemi posti dalla mobilità imperfetta del lavoro e dei capitali. Si faceva affidamento sulla spinta che l’integrazione avrebbe dato alla convergenza economica dei paesi membri e su una strategia di riforme graduali, da compiere al maturare delle condizioni politiche. I rischi che questo processo comportava si sono materializzati con violenza inattesa con la crisi dei debiti sovrani.
È emersa appieno l’inadeguatezza della governance economica dell’area dell’euro: le regole dei Trattati non sono state in grado di orientare in modo appropriato le politiche nazionali, di assicurarne il necessario coordinamento; l’assenza di strumenti comuni per la gestione delle crisi delle economie nazionali le ha rese più lunghe e profonde e ha favorito fenomeni di contagio. Le linee di riforma prefigurate dopo la fase più acuta della crisi prevedevano il graduale rafforzamento del processo di integrazione, prima nell’ambito finanziario e poi in quello della finanza pubblica. I progressi sono stati parziali.
L’Unione bancaria è incompleta e non priva di difetti, quella dei capitali è ancora in fase d’avvio; l’unione di bilancio è rinviata a un futuro indefinito. Il tentativo di ridurre i rischi nazionali prima di accettarne la condivisione – peraltro considerandone solo alcuni – finisce per accrescerli e per alimentare il senso di precarietà che circonda l’euro.
Riduzione e condivisione devono andare di pari passo e rafforzarsi l’una con l’altra; la condivisione dei rischi ne aumenta la sostenibilità per tutti. L’idea che si debba invece procedere in sequenza riflette preoccupazioni di natura politica ed economica connesse con le differenze che permangono tra i singoli paesi; è frutto della sfiducia reciproca maturata nel corso della crisi, alimentata da dubbi sulla capacità e sulla volontà di affrontare i problemi con la necessaria determinazione e sulla disponibilità a definire regole e politiche che siano nell’interesse di tutti. Ferma in mezzo al guado del processo di riforma, l’area dell’euro è frenata nella crescita economica e rimane esposta a rischi finanziari.
(estratto dalle Considerazioni di Visco; qui la versione integrale)
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GLI ESTRATTI DALLE CONSIDERAZIONI FINALI DI IGNAZIO VISCO:
CARE BANCHE, SIETE TROPPO LENTE NEL FINTECH
CRESCITA BASSA IN ITALIA? COLPA DEI GOVERNI
I 10 GRAFICI SULL’ECONOMIA MONDIALE
CHE COSA NON VA NEI TRATTATI EUROPEI