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Che cosa non farà il governo Conte 2 su pensioni e reddito di cittadinanza. Il corsivo di Cazzola

I punti di forza di questo governo si basano su di una cordata di personalità che hanno nelle mani un solido rapporto con la Ue. Mentre non ci sono riferimenti puntuali su due grandi questioni della manovra per l’anno in corso: le pensioni e il reddito di cittadinanza. Il commento di Giuliano Cazzola   A…

 

A voi sembra poco? Nel giro di un mese scarso l’Italia è passata da un regime sovranista, nemico dell’Unione europea ad un esecutivo che nel suo programma ha scritto: “Il Governo persegue la tutela degli interessi nazionali, promuovendo un nuovo equilibrio globale basato sulla cooperazione e la pace e rafforzando il sistema della cooperazione allo sviluppo, nel quadro di un “multilateralismo efficace”, basato sul pilastro dell’alleanza euroatlantica, con riferimento all’opera delle Nazioni Unite, e sul pilastro dell’integrazione europea”,

Ciò rappresenta un cambiamento dello scenario politico non solo del Vecchio Continente, ma di quello internazionale. Il sovranpopulismo ha perso così la sua trincea avanzata, nell’unico Paese in cui era riuscito ad arrivare al potere, tenendo insieme ambedue le componenti che altrove – come in Francia – restano divise.

Nessuno, dopo il voto del 2018 e la formazione dell’alleanza giallo-verde, avrebbe mai immaginato che sarebbero bastati 14 mesi per liquidare un governo pericoloso, non solo per la stabilità e l’economia, ma soprattutto per la democrazia.

Davanti a Salvini ‘’tremava tutta Roma”, col suo stile torsonudistico riempiva le cronache e le piazze; era pronto e sicuro di ottenere dagli italiani quei ‘’pieni poteri’’ che gli avrebbero consentito di ‘’fare’’(ovvero di continuare a rovinare la reputazione del Paese e di condurlo alla bancarotta).

Al Senato, rispondendo alle comunicazioni del premier Conte che lo aveva pubblicamente smascherato come un pericolo pubblico, il Capitano aveva detto: “Non voglio una Italia schiava di nessuno, non voglio catene, non la catena lunga. Siamo il Paese più bello e potenzialmente più ricco del mondo e sono stufo che ogni decisione debba dipendere dalla firma di qualche funzionario europeo, siamo o non siamo liberi?”.

Per lui non conta che lo spread sia sceso ai minimi storici, che Piazza Affari intoni il Te Deum, che gli investitori tornino ad acquistare i Btp, che nelle cancellerie e nelle istituzioni europee si esulti – come il padre del figliolo prodigo – per la svolta avvenuta in Italia. Per lui e la Fata turchina sua alleata, questi segnali, indubbiamente positivi per le famiglie italiane, sono la prova del tradimento, delle trame dei poteri forti, della subordinazione degli interessi nazionali a quelli della Germania e della Francia, che sarebbero poi i burattinai dell’Unione.

Tutta l’operazione che ha portato al Conte 2 si riassume nel consolidamento del dialogo con Bruxelles che il premier Conte insieme al ministro Tria erano riusciti a difendere dalle brutalità della ex maggioranza.

Ma quelle intese che prima erano considerate un cedimento al ricatto delle procedure d’infrazione, ora divengono l’espressione di rapporti normali tra il governo di un Paese fondatore e gli organismi della Comunità.

Se vi sono esigenze di flessibilità si concordano come è sempre avvenuto con qualunque governo, non si reclamano come una pretesa ‘’sovrana’’.

Certo, nulla è sicuro in tempi tanto difficili. Ma prima di fare le pulci al programma giallo-rosso o di deridere (perché poi?) i ministri o di parlare di lottizzazione delle poltrone, bisogna fare uno sforzo (sarebbe un compito dei media se volessero informare correttamente l’opinione pubblica) per raccontare la verità.

I punti di forza di questo governo si basano su di una cordata di personalità che hanno nelle mani un solido rapporto con la Ue, a partire da Roberto Gualtieri al Mef, passando per il nuovo ministro degli Affari europei (Enzo Amendola per quanto sconosciuto non sarà come i suoi predecessori) per arrivare a Bruxelles dove in Commissione l’Italia potrebbe essere rappresentata da Paolo Gentiloni.

Quanto al programma c’è poco da dire. La versione definitiva è sicuramente migliore della bozza. Usando il linguaggio cinematografico potrei osservare che il M5S ha scritto il soggetto mentre il Pd ha preso parte alla sceneggiatura.

Lascio, quindi, a Greta Thunberg il compito di valutare quanto siano credibili taluni aspetti del programma riguardanti la ‘’transizione ecologica’’ e il cambiamento culturale del modello di sviluppo all’insegna del Green New Deal e mi limito ad alcune considerazioni sulle questioni di carattere economico e sociale.

Fanno la loro comparsa tutti i dossier lasciati in sospeso nei mesi scorsi ed ereditati dal precedente governo: il salario minimo garantito, una legge sulla rappresentanza sindacale e sull’estensione erga omnes della contrattazione collettiva (il ddl Catalfo, il nuovo ministro del Lavoro, all’esame della Commissione Lavoro del Senato affronta insieme le due questioni), la sburocratizzazione (l’Araba Fenice che risorge sempre dalle ceneri), l’autonomia differenziata purchè salvaguardi l’unitarietà del Paese, l’avvio di un’economia circolare.

Non meravigliamoci: d’ora in avanti tutti i programmi dei partiti, in ogni parte del mondo, adotteranno questa agenda, un po’ perché è necessario, un po’ perché è di moda. La questione più significativa riguarda la scelta condivisa di abbandonare le avventure fiscali di Matteo Salvini (vedi la flat tax) e concentrare gli impegni sulla riduzione del cuneo fiscale a favore dei lavoratori.

Forse sarò stato poco attento a leggere, ma non ho trovato riferimenti puntuali in merito alle due grandi questioni della manovra per l’anno in corso: le pensioni (quota 100 e dintorni) e il reddito di cittadinanza.

Si accenna solo ad una revisione dell’opzione donna nell’ambito delle politiche per la famiglia e l’uguaglianza di genere. Eppure, prima o poi, si dovrà stendere una pagina di conti che indichi le voci di spesa e quelle da cui ricavare le risorse (considerando la conferma della sterilizzazione dell’Iva).

E ‘ lungo questa via che si arriva fino a Bruxelles. Dulcis in fundo: Orban ha mandato a Salvini un messaggio affettuoso: ‘’Non ti dimenticheremo mai’’. Ma parole siffatte non si dicono nelle commemorazioni funebri? Sarà bene che il Capitano si tocchi quegli attributi che generosamente esibiva sulle spiagge.

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