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Generali Cattolica

Che cosa deciderà Cattolica Assicurazioni su Ops Intesa e Generali

Il punto della situazione sui dossier al vaglio di cda e assemblea di Cattolica Assicurazioni tra operazione Generali e Ops di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca

 

Che cosa succede in Cattolica Assicurazioni? Ecco i prossimi appuntamenti che attendono la compagnia alle prese con diversi, scottanti, dossier.

Il cda del 13 luglio deciderà se consegnare a Intesa Sanpaolo l’1% della quota di Ubi Banca e l’assemblea di fine mese voterà l’accordo con Generali che porterà a Trieste il 24,4% di Verona.

I DUE APPUNTAMENTI PER CATTOLICA ASSICURAZIONI

Giro di boa per Cattolica Assicurazioni che si appresta ad affrontare due appuntamenti decisivi per il suo futuro. Oggi, 13 luglio, il consiglio d’amministrazione è chiamato a dirimere alcune questioni tecniche sull’aumento di capitale e a decidere se consegnare a Intesa Sanpaolo l’1% della quota di Ubi Banca in suo possesso, mentre l’assemblea del 30 e 31 luglio è chiamata a votare l’accordo con Generali, annunciato il 24 giugno scorso. (QUI LA DECISIONE DI CATTOLICA PRO OPS DI INTESA)

Per Cattolica – che vanta 3,6 milioni di clienti e 6,9 miliardi di raccolta complessiva a fine 2019 – l’intesa con Assicurazioni Generali condurrà a una collaborazione in particolare su gestione dei patrimoni, salute e riassicurazione. Da parte sua Generali è pronta a portare in dote a Verona 300 milioni di euro comprando 54 milioni di nuove azioni al prezzo di 5,55 euro l’una, il 54% in più della quotazione del 24 giugno. A operazione conclusa, il Leone possiederà il 24,4% di Cattolica.

IL SI’ AL CONTROLLO DI GENERALI. PARLA BEDONI

A parlare con Avvenire di quello che accadrà dopo le nozze con Generali è il potente presidente di Cattolica, Paolo Bedoni, che evidenzia la necessità dell’unione. “Se non permetti l’ingresso di capitali nella compagnia, il rischio è enorme, perché solo con l’accesso al capitale si può crescere e competere sul mercato”.

Ecco che Bedoni ripercorre quello che è accaduto negli ultimi mesi. “A inizio anno avevamo una solvency solida, sopra il 170%. Con l’emergenza sanitaria l’Ivass ha chiesto di monitorare l’indice di solvibilità di settimana in settimana. A metà maggio, quando lo spread dei Btp è volato a 270 punti, la nostra solvency era precipitata al 103%, le due collegate di banca-assicurazione erano scese sotto il limite regolamentare del 100%. Per rimediare il 15 maggio abbiamo deliberato di chiedere ai soci un aumento di capitale da 500 milioni di euro da completare entro il 2025. Il 27 maggio l’Ivass ci ha chiesto di fare l’aumento entro settembre. Nel giro di due settimane siamo passati dall’avere a disposizione cinque anni per ricapitalizzare al dover chiudere l’operazione in pochi mesi”.

Bedoni  si mostra rassicurante in merito al sodalizio con Trieste. “Da parte di Generali c’è stato il rispetto di Cattolica, non solo ‘monetario’, e anche della sua identità. Riconoscono la nostra forza su alcuni ambiti, come il Terzo settore, gli enti religiosi, l’agroalimentare e l’auto. Ci alleiamo a quella che è la prima compagnia assicurativa italiana e la terza in Europa. Anche per i nostri dipendenti e per i nostri agenti si aprono possibilità di crescita all’interno di un gruppo italiano di dimensione internazionale”. Il dominus di Cattolica poi getta acqua sul fuoco riguardo alle perplessità sorte da parte di alcuni soci e della diocesi: “Non si può non vedere che non siamo una piccola realtà veronese ma una grande compagnia nazionale”. E ancora: “I soci sono anche investitori, hanno messo dei risparmi nelle azioni di Cattolica e sanno valutare bene quello che ha messo sul piatto il cda. Un loro ‘no’ metterebbe la compagnia in una situazione senza futuro”.

IL SI’ A INTESA PER L’OPS SU UBI BANCA

Come dicevamo, la riunione del board del 13 luglio è stata centrale per dirimere questioni tecniche legate all’aumento di capitale da 500 milioni ma soprattutto per sciogliere il nodo dell’offerta pubblica di scambio di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca di cui Cattolica possiede l’1% di capitale. Secondo La Stampa l’orientamento che si registra dovrebbe decidere di consegnare il pacchetto a Ca’ de Sass. “La mossa, se confermata – si legge -, potrebbe avere un effetto domino dento il Comitato azionisti di riferimento” il patto di consultazione che coagula circa il 19% – inclusa Cattolica – finora fieramente avverso all’Ops. Peraltro, ricorda il quotidiano diretto da Massimo Giannini, stanno valutando il da farsi anche le due fondazioni del Car ovvero la pavese Banca del Monte e la piemontese Crc. Della prima è presidente Aldo Poli, che è pure presidente vicario di Cattolica. Se Banca del Monte dovesse dire di sì, “come diversi osservatori ipotizzano, metterebbe alle strette anche la fondazione cuneese”, visto che le due fondazioni hanno lo stesso advisor per la decisione ovvero Societé Générale. “Non sarebbe agevole spiegare al Mef – cui spetta la vigilanza sulle fondazioni – scelte diametralmente opposte partendo da considerazioni tecniche identiche” chiosa La Stampa.

Il cda di Cattolica infatti ha deciso per il sì all’Ops di Intesa su Ubi.

L’INTERROGAZIONE DELLA LEGA SU TRASFORMAZIONE IN SPA E CONTROLLO DI GENERALI

Intanto, come detto, c’è chi guarda con apprensione a quanto sta succedendo a Verona. E arriva pure un’interrogazione parlamentare a risposta scritta al ministero dell’Economia per capire se è stato assicurato il rispetto del diritto all’informazione e di voto agli azionisti di Cattolica. A  presentarla il deputato leghista Paolo Paternoster. “La partecipazione di meno del 10% degli azionisti all’assemblea dello scorso 26 giugno lascia molti dubbi – chiarisce il parlamentare -. La Lega non è da una parte né dall’altra, ma vuole fare gli interessi della città. Per questo vogliamo capire perché nei 34 giorni che separano la prima dalla seconda assemblea di Cattolica si vogliano cancellare 124 anni di storia”.

Secondo il deputato del Carroccio “ci sono situazioni non chiare e una fretta ingiustificata nel portare a termine questa operazione”. Gli fa eco l’europarlamentare Paolo Borchia, dello stesso partito di Paternoster: “Cattolica ha 1.800 dipendenti, 2.000 agenti e 18 mila azionisti, è un patrimonio da preservare e tutelare. I risultati dei precedenti accorpamenti portano a profonde preoccupazioni dal punto di vista occupazionale e di sviluppo del territorio, affinché non si ripetano situazioni già viste con la Cassa di Risparmio e la Banca Popolare”.

IL CAOS NEL BOARD E LA QUESTIONE MINALI

Da ricordare che a Verona le acque sono agitate da vari mesi, a partire dal 31 ottobre scorso quando un cda straordinario ha tolto le deleghe all’allora amministratore delegato Alberto Minali, ex cfo di Generali Italia. In una nota diffusa al termine del consiglio straordinario, a mercati chiusi, Cattolica aveva fatto sapere di aver “constatato e preso atto che si è progressivamente verificata una divergenza di visione” con Minali in merito a “organizzazione societaria, scenari strategici e rapporti con i soci e col mercato, con la conseguenza di una non fluida, distesa e positiva posizione dell’amministratore delegato verso il cda e una non sufficiente sintonia e organicità nelle rispettive competenze”.

La traduzione arrivava dal Corriere della Sera: “Il veronese tornato a Verona dopo aver scalato le vette di Generali si è rivelato essere un corpo estraneo alle logiche che dominano nel profondo la compagnia”. Dunque, “lo spazio che divideva management e proprietà si è andato via via ampliando, fino alla rottura”. Di sicuro a Minali non si potevano rimproverare i mancati risultati. Motivo, anzi, che secondo Repubblica avrebbe fatto innervosire Fondazione Cariverona per la sua cacciata. Con il manager ex vicepresidente di Generali Italia, Cattolica ha infatti registrato il miglior bilancio degli ultimi dieci anni e nei primi nove mesi del 2019 la raccolta complessiva era arrivata a quota 5 miliardi e l’utile netto a 84 milioni (+15,8%). Cifre che ovviamente avevano portato a ottimi dividendi per i soci e all’apprezzamento del titolo in Borsa.

La chiave di volta, invece, andava cercata nella governance e nei rapporti personali con “la spinta all’apertura e al cambiamento” che avrebbe trovato “resistenze ideologiche e personali”. Peraltro, riferiva in quei giorni Il Corriere Economia, Minali si sarebbe scagliato contro gli emolumenti di Bedoni che nel 2018 hanno superato gli 1,1 milioni annui oltre a una serie di privilegi.

In un’intervista al Sole 24 Ore, ai primi di novembre scorso, Minali aveva fornito la sua versione prendendo le distanze dall’accusa di aver voluto trasformare Cattolica in una spa e ribadendo l’intenzione di rimanere nel board di Cattolica Assicurazioni per difendere il piano industriale varato quando era ancora in carica. L’ex cfo di Generali rispediva al mittente pure l’addebito di aver “esondato” rispetto alle sue deleghe. “Ho sempre esercitato le mie deleghe senza travalicare i poteri assegnati e i budget approvati dal cda” precisava.

Lo scorso maggio Minali si è dimesso dal board e il 29 maggio ha inviato una richiesta di 9,6 milioni di euro di risarcimento, motivo per cui si andrà diretti allo scontro in Tribunale come ha già deciso il consiglio d’amministrazione di Cattolica.

IL RUOLO DI FONDAZIONE CARIVERONA E LA PERDITA (ANCORA SOLO POTENZIALE) DI WARREN BUFFETT

Il caos al vertice avrebbe anche scontentato una parte di Verona che vedeva di buon occhio la trasformazione portata da Minali, soprattutto piccoli soci e azionisti finanziari con la Fondazione Cariverona (3,4%) in testa. In particolare, ricordava Start Magazine, da ambienti vicini ai soci si rilevava come Cattolica avesse realizzato negli ultimi anni importanti progressi nell’organizzazione societaria, adottando peraltro la governance monistica e accogliendo tra i soci Warren Buffett (9%), pur restando una cooperativa con le proprie caratteristiche specifiche.

E proprio per l’investitore americano si registrano dolenti note visto che, tramite la sua società di investimento Berkshire Hathaway, è il primo socio di Cattolica con una partecipazione del 9,047% ottenuta nel 2017, quando ha comprato la quota messa sul mercato dalla Popolare di Vicenza. Tre anni fa Buffett sborsò circa 116 milioni di euro che – alla chiusura di Borsa del 29 maggio scorso, quando Cattolica ha ceduto quasi il 4% – risultava essersi deprezzata intorno ai 69 milioni. Al momento, comunque, solo una perdita potenziale.

Tra i 363 voti contrari all’aumento di capitale di Cattolica Assicurazioni, approvato dall’assemblea a fine giugno, ha scritto il Sole 24 Ore, ce ne era anche uno di un peso diverso: Warren Buffett che attraverso la sua Berkshire Hathaway, e la controllata General Reinsurance, è ancora il primo azionista del gruppo con il 9,047%. La finanziaria americana dunque, dopo aver fatto conoscere il proprio disappunto al ribaltone che in autunno ha messo fuori causa l’amministratore delegato Alberto Minali, si è espressa contro la delega al cda per aumentare il capitale fino a 500 milioni di euro entro cinque anni.

La decisione di votare “no”, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, sarebbe arrivata prima dell’annuncio a sorpresa con cui, a 48 ore dalla riunione dei soci, Cattolica e Generali hanno avviato una partnership strategica imperniata sull’impegno di Trieste a sottoscrivere una ricapitalizzazione riservata da 300 milioni di euro per diventare azionista con il 24% circa del capitale.

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