La filiera agroalimentare pur essendo il primo comparto economico del Paese, forte di un paio di milioni di imprese, quattro milioni di occupati tra diretti e indiretti con circa 500 miliardi di giro d’affari, fatica a trovare un terreno di dialogo che consenta di affrontare seriamente il problema dei costi non solo delle materie prime e quindi delle possibili ricadute inflattive. Così come fatica a rendersi conto che c’è un prima e un dopo la pandemia.
E il dopo necessita di convergenze più che di “guerre per errore”. Magari per farsi pubblicità a poco prezzo. A valle ha cominciato il discount MD di Fabrizio Podini a chiudere ogni spazio di discussione negando la necessità di un adeguamento e facendo imbufalire chi, a monte della filiera, si trova inguaiato con gli aumenti.
Francesco Pugliese, CEO di Conad, ha cercato di buttare acqua sul fuoco delle polemiche proponendo un tavolo, aprendo su ciò che ha senso aumentare da ciò che non lo ha e provando così ad aprire un canale serio di confronto. Un tavolo che non è mai decollato al punto che Esselunga, l’unica in grado di ottenere la visibilità necessaria oltre alle altre due realtà del comparto (Conad e Coop) che, di fatto, dettano le regole del gioco sul piano della percezione politica del settore, ha rotto gli indugi e ha lanciato la sua campagna d’autunno in solitaria: “Il carovita sale. Noi abbassiamo i prezzi”, lasciando il cerino acceso in mano alle altre insegne.
Ancora una volta, quindi, la GDO, presa nel suo insieme, rinuncia a giocare il suo peso nelle dinamiche di filiera e procede in ordine sparso. Sarà la preoccupazione di trovarsi sul banco degli accusati o la paura di un’ondata inflazionistica che potrebbe raffreddare i consumi, oppure perché tutti sperano di intravedere la fine del tunnel post pandemia. È evidente, però, che nessuno vorrebbe essere tacciato di insensibilità alle esigenze dei consumatori.
La mossa di Esselunga però dimostra due cose. La prima è che l’azienda di Pioltello sembra aver abdicato al ruolo di primus inter pares in Federdistribuzione. Ruolo che le apparteneva di diritto ai tempi di Bernardo Caprotti. Apparentemente defilato ma sostanziale nell’indirizzare le decisioni associative. La prima mossa del nuovo AD Gabriele Villa è, al contrario, di rottura. E questo non potrà non avere conseguenze.
Basti vedere la reazione (legittima) di Cristophe Rabatel CEO di Carrefour Italia su Twitter con un like significativo ad un’affermazione di Enzo Di Rosa “Non si possono scaricare i costi sulla collettività fingendo di avere a cuore gli interessi delle persone quando in realtà si cerca di salvaguardare i propri intessessi. Le soluzioni vanno cercate con tutti gli attori della filiera, aziende, produttori, distributori e consumatori”.
La seconda è che Esselunga da sempre attenta agli equilibri fatturato/margini sembra voler scegliere, in questo momento di difendere il suo fatturato. Questo significa che i discount disturbano non poco e che la chiusura del 2021 è importante per le future strategie aziendali. E questo, per chi è del mestiere, può suggerire diverse opzioni.
Quindi il livello politico del comparto e la strategia delle imprese non contemplano, almeno fino ad ora, convergenze nella filiera. Resta un problema tra componenti singoli della filiera cioè tra singolo fornitore e singolo distributore. Non certo un grande risultato. Né un ruolo sostanziale delle federazioni a cui aderiscono gli uni e gli altri. Restando in GDO le insegne, appena possono, preferiscono combattersi l’un l’altra in un infinito gioco a somma zero. Come da sempre. Sia chiaro. Quelle che fino a ieri erano le tre “sorellastre” (oggi ridotte a due) fanno bene il loro mestiere. Piaccia o meno sono loro, di fatto, che dettano la linea alla GDO italiana. Le loro decisioni hanno un evidente impatto mediatico.
Le altre, comunque la si giri, sono purtroppo vittime sacrificabili dell’immaginario collettivo. Una parte importante dell’opinione pubblica come Dante li continua ad immaginare nel IV Cerchio dell’Inferno dove sono puniti gli avari e i prodighi condannati a gridarsi contro Perché tieni? e Perché burli? spingendo i massi fino a scontrarsi nuovamente in un punto opposto del Cerchio. Una caricatura forzata e, a mio parere, un errore.
Eppure se le rispettive associazioni riuscissero a farsi carico di una sintesi vera ne trarrebbero tutte indubbi benefici sul piano del peso politico e dell’immagine nell’opinione pubblica. Soprattutto se maturasse una posizione unitaria sull’aumento dei prezzi. Ma così, per ora, non è. E oggi non c’è nessun retailer medio o piccolo in grado di competere con le decisioni politiche dei tre leader. Discounter a parte.
Aggiungo che è fuori dubbio che tutta la GDO è stata colta in anticipo e di sorpresa da questa operazione di Esselunga. L’azienda di Pioltello non è più quella di Bernardo Caprotti quindi è comprensibile che manchi di visione sul piano strategico e politico ma non è nemmeno quella impegnata a cambiare pelle troppo rapidamente guidata dall’ex Sami Kahale. È una realtà che nel proprio perimetro territoriale, organizzativo e culturale non teme confronti e fa, della sua indubbia forza economica e di mestiere, un vero fattore competitivo difficilmente eguagliabile.
E così, più che perdere tempo ad inseguire i negozi di vicinato così lontani dalla sua cultura e dai suoi fondamentali, si trincera dentro i suoi punti di forza e passa all’attacco. Pochi hanno capito la prima mossa di Gabriele Villa. CEO per nomina ma Direttore Commerciale per vocazione. “Abbassiamo i prezzi” più che un messaggio ai propri clienti è un segnale di guerra ai concorrenti. Soprattutto ai discount che spuntano come funghi. E a quei fornitori che pensavano di scaricare oltre il dovuto le loro contraddizioni.
Tutte le insegne fanno promozioni, propongono sconti, sottocosti e tagli prezzi. Soprattutto di questi tempi. Qui c’è però dell’altro. “Esselunga is back” è il messaggio. Per andare dove, lo vedremo molto presto.