L’accezione negativa che si è più volte assegnata al termine “spezzatino” quando si parla di concentrazioni e cessioni di punti vendita rende difficile comprenderne l’inevitabilità in casi come questo.
Conad si è lanciata in questa operazione con due obiettivi. Innanzitutto crescere. Solo operazioni di questa portata e con questi rischi lo consentono nei tempi richiesti oggi. In secondo luogo per essere il campione nazionale perno centrale del “salvataggio” di una fuga costruita a tavolino dalla multinazionale francese proprio per evitare di trovarsi impantanati in una operazione di sganciamento dal nostro Paese con costi incalcolabili che avrebbe tra l’altro occupato le cronache dei media per settimane.
L’obiettivo, per certi versi riuscito, era di lasciare il Paese. Per fare questo la formula “vista e piaciuta” era inevitabile così da scansare una lunga due diligence dalle prospettive incerte. Immaginare un addio con tanto di “spezzatino” in salsa francese offerto al banchetto della GDO nazionale avendo in pancia diciottomila posti di lavoro a rischio avrebbe coinvolto anche la stessa immagine della Francia ponendola, insieme all’azienda, in balìa degli eventi che, con i rischi legati alla superficialità della politica di oggi, hanno sicuramente spinto e convinto Gérard Paul Louis Marie-Joseph Mulliez, l’anziano patron di Auchan, a programmare la ritirata lasciano tutto (e di più) sul campo.
Il rischio di scatenare una riedizione della Bataille des Alpes fra il Regno d’Italia e la Francia del giugno 1940 rischiava di prendere corpo. Visti gli altri casi che affollano i media in questo periodo, una possibilità sicuramente concreta.
Credo sia chiaro a chiunque che, se questa operazione l’avesse promossa e gestita in prima persona la stessa multinazionale francese al posto di Conad, le conseguenze sarebbero state ben più pesanti e i tempi molto più lunghi. Con l’inevitabile sbandamento dell’intero sistema in cessione che avrebbe compromesso la tenuta di molti PDV e quindi un vero dramma occupazionale.
L’istruttoria aperta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato attraverso il provvedimento 27683 per certi versi chiarisce ancora di più la complessità del quadro di riferimento. E le difficoltà di Conad a mettere tutte le carte sul tavolo e che non erano affatto tattiche come qualche frettoloso osservatore aveva stigmatizzato. Quest’ultima ha però tempo dieci giorni per ricorrere a quello che, a prima vista, sembrerebbe una ipotesi eccessivamente pesante.
Non è la mia materia e quindi non ho intenzione di entrare nel merito delle sovrapposizioni individuate. Da verificare innanzitutto da Conad/BDC. Se non ho capito male dei 318 punti vendita acquisiti ben 147 sarebbero sub iudice. 17 catalogati come superette, 92 come supermercati e il restante 38, sopra i 2500 mq., come ipermercati. Alcuni già passati o in corso di passaggio di insegna.
L’AGCM indica che in questi casi possa essere ostacolata la concorrenza in modo significativo determinando un rafforzamento eccessivo o la costituzione di una posizione dominante. Adesso la parola passa a Conad. Che replicherà le sue ragioni. Fino a qui le carte. Non saprei cosa aggiungere.
Dal mio punto di vista però trovo singolare che il problema occupazionale o le conseguenze sullo stesso non vengano preso minimante in considerazione (sottolineo che non sono un esperto di questi passaggi). Né le modificazioni dei consumi o la crisi attuale di alcuni formati e quindi l’opportunità o meno di impegnare risorse e sforzi economici distraendoli da altre attività. Nelle 26 pagine su questo non c’è nulla. Il ruolo dell’AGCM è questo e probabilmente non ha senso discuterlo.
Però tutto porta ad incentivare un disimpegno su questo tema. Non esistono un bonus o un malus che possano condizionarne il percorso. Non ci sono comportamenti virtuosi che possano essere premiati. Le concentrazioni e quindi le acquisizioni non sono viste come un elemento fondamentale per competere, per affrontare i mercati globali o per tutelare l’occupazione. Quindi da favorire. Ovviamente entro certi limiti.
Le dinamiche prese in considerazione sono tutte interne ad una logica tradizionale. Definite probabilmente quando le aziende crescevano dentro binari convenzionali. Oggi non è più così. Soprattutto in un’operazione dove l’acquisizione è parte di un “salvataggio” e la problematica occupazionale deve ancora assestarsi e trovare risposte e interlocutori che contribuiscano a comprimere il problema degli esuberi.
Quello che temo è che essere “costretti” a cedere per come è stata costruita questa operazione potrebbe indebolire le condizioni di cessione a terzi e lasciare in pancia a BDC un problema occupazionale diverso e maggiore rispetto a quello previsto. Ovviamente spero di no.
Io non tifo per il tanto peggio, tanto meglio. Mai.
Vedremo le prossime mosse anche al tavolo negoziale.