Anche i cervelli in fuga devono pagare le tasse. È questo il messaggio che è arrivato dalla proposta di modifica del cosiddetto “regime degli impatriati”, ossia quel regime fiscale che incentiva i “cervelli in fuga” a rientrare in Italia, approvato insieme alla legge di Bilancio nel Consiglio dei Ministri di lunedì scorso.
IL DECRETO LEGISLATIVO SUL REGIME DEGLI IMPATRIATI
Il decreto legislativo stabilisce che manager, professionisti e lavoratori con un alto tasso di formazione che decidono di rientrare in Italia dal 2024 “potranno beneficiare di una riduzione della tassazione del 50 per cento, entro un limite di reddito agevolabile pari a 600.000 euro”. Tale limite prima non era ed è stata introdotta una riduzione: il vecchio sistema consentiva che i redditi prodotti in Italia concorrevano alla formazione del reddito complessivo solo al 30 per cento del loro ammontare. Tale cifra che arrivava al 10 per cento se il “cervello in fuga” sceglieva di tornare non solo in Italia ma in una regione del Sud.
GLI SCONTI FISCALI PER I CERVELLI IN FUGA
Gli sconti fiscali sono stati introdotti nel 2004 ed erano riservati a ricercatori e docenti universitari. A seguire, nel 2015 e poi nel 2019, la platea dei potenziali beneficiari è stata allargata ed è stato esteso lo sconto sulle tasse. Il governo Conte II introdusse particolari benefici per i lavoratori che hanno trascorso almeno due anni all’estero ma decidono di lasciare la residenza fiscale in Italia per almeno altri due anni. Per loro la riduzione dell’imponibile è del 70%, e i professori e ricercatori godono di un’agevolazione ancora maggiore: l’imponibile è ridotto del 90%. Dunque, le tasse sono pagate solo sulla parte restante. In sostanza, considerando la no tax area, fino a circa centomila euro non si pagano tasse.
COSA PREVEDE IL NUOVO PROVVEDIMENTO
Secondo il nuovo provvedimento lo sconto sarà del 50 per cento, e non ci saranno agevolazioni per le regioni del Sud. La misura sarà applicabile per i lavoratori in possesso dei requisiti «di elevata qualificazione o specializzazione che non risultano essere già stati residenti nel nostro paese nei tre periodi d’imposta precedenti al conseguimento della residenza». E non basteranno più solo due anni di residenza fiscale in Italia, ne serviranno cinque, altrimenti i lavoratori dovranno restituire le agevolazioni, pagando gli interessi.
RENZI: “ABBIAMO LANCIATO UNA PETIZIONE”
“Giorgia Meloni ha deciso di bloccare il rientro dei cervelli italiani che sono in fuga all’estero e questa è una cosa inaccettabile, assurda”. A parlare così è l’ex premier Matteo Renzi e leader di Italia Viva. “Oggi sui giornali abbiamo letto che c’è il desiderio di modificare le norme che noi avevamo fatto e che erano incentivi per riportare i professionisti, le ragazze e i ragazzi a rientrare in Italia perché, non si capisce, vogliono modificare la durata degli incentivi – continua Renzi -. Vi chiedo di firmare la petizione che abbiamo lanciato come Italia viva”.
LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG
Ma non solo l’ex premier Renzi ha lanciato una petizione. Su Change.org diverse organizzazioni di professionisti e laureati che sono rientrati o che progettano di tornare in Italia, da Controesodo a chEuropa al Gruppo Rientro Italia. Quest’ultimo ha presentato una lettera aperta nella quale chiede al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Economia e delle Finanze, ai Ministri e Viceministri, Sottosegretari, e Parlamentari di non procedere sulla proposta di modifica “Regime degli Impatriati”, come approvato “in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 16 ottobre 2023 e che verrà sottoposto al vaglio delle competenti commissioni parlamentari nelle prossime settimane”.
I DUBBI DEL FOGLIO: MISURA INIQUA VERSO I PROFESSORI ITALIANI E VERSO I PIÙ POVERI
Come scrivono Carlo Stagnaro e Luciano Capone sul Foglio la misura non era scevra da iniquità. Da un lato “uno studio degli economisti Jacopo Bassetto e Giuseppe Ippedico ha trovato che effettivamente il numero di rientri è aumentato e che il maggior gettito è grossomodo tale da controbilanciare gli sconti concessi a quelli che si sarebbero trasferiti in Italia a prescindere dagli incentivi”. Da un altro lato, però, resta difficile “giustificare un regime fiscale che tratta in modo radicalmente diverso due lavoratori, che svolgono le stesse mansioni, che hanno seguito lo stesso percorso formativo, che hanno le medesime competenze, che magari lavorano gomito a gomito e che si differenziano solo perché uno ha passato del tempo all’estero”. Oltre all’iniquità orizzontale, come scrive Il Foglio, ce n’è anche una verticale. I 19.400 lavoratori beneficiari dello sgravio “hanno un reddito lordo medio di 131.920 euro, circa sei volte la media nazionale; pertanto, gli incentivi al rientro dei cervelli hanno un effetto fortemente regressivo”. Quindi, fanno pagare meno tasse a chi ha redditi elevati un’aliquota molto più bassa rispetto a chi è più povero”. E questa caratteristica era ancora più evidente quando il beneficio era riservato ai soli laureati.