skip to Main Content

Contratto Terziario

C’è lavoro nero nel commercio? Che dice la Confcommercio?

Polemiche tra Confindustria e Confcommercio sul lavoro povero. Servirebbe proprio un’operazione “verità”. Il post di Mario Sassi, autore del blog-notes sul lavoro

 

Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, ha lanciato nei giorni scorsi la proposta di un grande patto al segretario della Cgil Landini per fare una operazione verità in Italia, per dire insieme ai sindacati chi sono quelli che pagano poco, che non pagano il giusto e quelli che sono fuori dalle regole. La stessa CISL del terziario aveva proposto tempo fa “un cambio di passo culturale, una svolta in cui le Parti Sociali possano giocare un ruolo importante esercitando una funzione educativa. Formare le lavoratrici e i lavoratori sui loro diritti legali e contrattuali, aumentare la conoscenza degli strumenti di tutela messi a loro disposizione, supportarli nell’attività di denuncia devono essere prerogative del sindacato».

Carlo Bonomi ha affermato: “Serve un grande patto di equità sociale da fare noi con il sindacato e dire senza peli sulla lingua chi sono quelli che pagano poco. Chi sono? Cooperative, finte cooperative, commercio e servizi”. Una verità amara da digerire ma evidente per chi non si vuole nascondere dietro un dito. Donatella Prampolini Vice Presidente di Confcommercio non ci sta: “il nostro CCNL è già sopra i 9 euro”. La nuova linea Maginot che distinguerebbe “il grano dal loglio” in materia salariale.

I 9 euro indicati per il salario minimo non nascono a caso. Dipendono da un calcolo economico che tiene conto dei parametri europei. Il riferimento è al 50% della media dei salari comunitari. A questo va aggiunto il dato ISTAT e il fatto che molti contratti sono scaduti ed erosi dall’inflazione. Ovviamente è solo una certificazione di rifermento. Non ci dice che va tutto bene. Però assolve tutti. Come i gatti che di notte sono tutti grigi.

Lasciamo per un momento l’appassionato confronto. Innanzitutto nessun contratto, tra gli undici maggiormente applicati nel nostro Paese. prevede un trattamento economico complessivo inferiore ai 9 euro.  Dai 9,25 euro di una guardia giurata inquadrata al quarto livello del Ccnl vigilanza privata fino ad arrivare alla cifra di 11,34 euro di un operatore di laboratorio di livello E2 del Ccnl chimica-farmaceutica. Significativo come evidenzia  Adapt, che in tutti i contratti analizzati già soltanto considerando le ipotesi che prevedono minimi tabellari, due scatti di anzianità maturati e i ratei delle mensilità aggiuntive si superano i 9 euro lordi proposti e addirittura in cinque dei contratti presi in considerazione il trattamento economico risulta superiore ai 9 euro lordi già solo considerando i minimi tabellari (chimica-farmaceutica, metalmeccanica industria, industria alimentare, commercio e tessile). Gli unici due Ccnl che sono sotto, ma per pochi centesimi, sono Pulizia-multiservizi (8,59 euro) e Vigilanza privata (8,51 euro) (dal Sole 24 ore). Il tema quindi non sono i nove euro che nemmeno lo stesso Bonomi discute. Il Presidente di Confindustria ha però ragione su un punto. Non è lì il problema. I dati parlano chiaro. Per questo vanno accesi i riflettori. Non basta rispedire al mittente le accuse come fa Donatella Prampolini.

Il lavoro sommerso nel commercio (non solo quello in nero ma anche quello caratterizzato da rapporti formalmente regolari ma con elementi di irregolarità relativi, ad esempio, alle ore effettivamente svolte, all’utilizzo di appalti, distacchi e somministrazione senza il rispetto delle regole) coinvolge, secondo l’Istat oltre 330.000 persone. Il commercio è il secondo settore più coinvolto dopo il lavoro domestico. L’11% del totale dell’irregolarità e sfiora il 10% all’interno dell’intero comparto stesso. Un dato che spiega più di tante parole ciò che avviene intorno a quel  sottile confine tra legalità e illegalità. Tra flessibilità e sopruso. Tra concorrenza leale e dumping tra imprese.

La punta dell’iceberg, quella che si vede, comprende tutte le forme legali utilizzate dalle imprese per comprimere il costo del lavoro. Dalle terziarizzazioni delle attività, al ricorso agli appalti che prevedono a loro volta subappalti fino all’adozione di contratti di lavoro costruiti su singole realtà. I cosiddetti contratti “pirata”. Se non si parte da qui continuiamo a vedere il dito (il non rinnovo dei CCNL e la denuncia contro chi applica altri contratti) e non la luna che indica (costo, riconoscimento e dignità del lavoro, rispetto reciproco delle regole, produttività e margini delle imprese). Tutto questo penalizza, oltre ovviamente ai lavoratori, le aziende grandi e piccole che rispettano leggi e contratti. Un dumping inaccettabile.

Il Ministero del lavoro ha predisposto un Piano per contrastare trasversalmente il fenomeno del lavoro sommerso in tutti i settori economici interessati. entrato in vigore il 21 dicembre 2022  con la pubblicazione sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali . Un piano che non prevede solo l’attività di contrasto al fenomeno del sommerso con l’aumento delle ispezioni, ma vengono indicate soluzioni tese a migliorare l’impianto sanzionatorio per contrastare il dumping contrattuale, nonché l’introduzione di norme per rendere maggiormente visibile chi opera in modo irregolare per colpirne la reputazione.

Secondo fonti dell’Osce e dell’Istat, l’Italia, rispetto al periodo precedente alla pandemia, ha registrato la diminuzione più forte nelle retribuzioni tra i paesi economicamente avanzati. La diminuzione è continuata nel 2023 in linea con l’andamento storico negativo dei salari nel nostro paese visto che tra il 1990 ed il 2020 si è registrata una diminuzione del salario medio del 2,9 %, mentre negli altri paesi europei in media è aumentato nello stesso periodo. E questo riguarda tutto il lavoro dipendente. E senza considerare l’inflazione. Carlo Bonomi solleva però un problema diverso  ma altrettanto urgente: dove si annida il lavoro povero, le responsabilità e le possibili soluzioni da trovare insieme. Da qui la necessità, che condivido, di un “patto di equità sociale”. Nessuno deve chiamarsi fuori perché questa è una delle urgenze del nostro Paese.

Purtroppo il lavoro povero è divenuto ormai un fenomeno strutturale nel nostro mercato del lavoro e pertanto sono decisive le misure per contrastarlo e per rispettare il principio di cui all’art. 36 Cost. che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione sufficiente a garantire a sé stesso e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Materia sempre più gestita dai tribunali con  tutto ciò che questo comporta in termini di autonomia delle parti sociali. L’aumento dei lavoratori poveri è dovuto a più cause. Spesso basta “interpretare” i CCNL firmati per renderlo tale. Innanzitutto il numero di ore lavorate. Il part time involontario senza alcuna possibilità di un suo superamento nel tempo ne rappresenta una evidente rappresentazione.

Ma anche il   numero di ore pagate in rapporto a quelle lavorate, l’inquadramento, il non riconoscimento delle maggiorazioni anche da parte di chi formalmente applica il CCNL di riferimento. Il ritardo nel rinnovo di un consistente numero di contratti collettivi (circa il 50% dei lavoratori italiani è coperto da un contratto collettivo che è scaduto da più di due anni) e, infine, la proliferazione di accordi sindacali (c.d. contratti pirata) che abbattono notevolmente il costo del lavoro per le imprese che li adottano.

Carlo Bonomi andrebbe preso in parola su questo punto. Il confronto tra la parti sociali andrebbe accolto e rilanciato da tutti proprio su questo. Non semplicemente  sul rispetto o meno dei 9 euro come insiste “furbescamente” Donatella Prampolini per evitare risposte di merito. Il finto equivoco genera una polemica fuori luogo. Il lavoro povero non è solo nei contratti “pirata”. Si annida anche  dentro i contratti firmati dalle organizzazioni più rappresentative. Superarlo dovrebbe essere un obiettivo comune. E costituirebbe la vera contropartita per il sindacato di categoria  mettendo in difficoltà chi non vuole chiudere finalmente il contratto nazionale. Il colpevole ritardo del  rinnovo nel terziario e della DMO non c’entra nulla con il salario minimo e la sua entità  e le polemiche tra associazioni. Lo stallo è il risultato dell’ignavia di chi è preposto al suo rinnovo.

(Pubblicato su Blog Notes sul Lavoro a cura di Mario Sassi)

Back To Top