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Confindustria

Assoimmobiliare di Confindustria vuole rottamare le case?

In cosa consiste la proposta di Confindustria Assoimmobiliare relativa alla creazione di un mercato di sostituzione. L'articolo di Sergio Giraldo.

Ambizioso. L’aggettivo più amato a Bruxelles emerge prepotentemente nel discorso di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo sullo stato dell’Unione, tenuto negli scorsi giorni dalla Presidente della Commissione europea a Strasburgo.

Si tratta della stessa “ambizione” che porta a pensare che ristrutturare non meno del 50% del patrimonio immobiliare italiano possa arrestare l’innalzamento della temperatura terrestre a un massimo di 1,5 gradi centigradi entro il 2050. Un non sequitur da manuale, su cui però la Commissione e il Parlamento europeo insistono, mentre il governo di Giorgia Meloni sul tema appare a dir poco incerto.

Ora, cogliendo l’attimo di imbarazzo del governo e la fase ancora interlocutoria, a Bruxelles, del provvedimento EPBD (Energy Performance of Buildings Directive, la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia), c’è chi mette le mani avanti e propone soluzioni creative.

LA PROPOSTA DI ASSOIMMOBILIARE PER “ROTTAMARE” LE CASE

Nelle ultime settimane è circolata una proposta di Confindustria Assoimmobiliare relativa alla creazione di un mercato di sostituzione. Che cos’è in pratica? Si tratta di una sorta di rottamazione degli immobili. In pratica, i grandi proprietari immobiliari venderebbero case nuove, nelle classi energetiche alte (A, B, C), ricevendo in permuta le case e gli appartamenti nelle classi energetiche più basse. Sarebbero così le grandi società di gestione immobiliare ad investire nelle ristrutturazioni, per poi rivendere le case ristrutturate. “In Europa circa il 25-30% delle abitazioni è gestita da capitali istituzionali che offrono abitazioni qualità. In Italia siamo appena al 5%”, ha dichiarato qualche giorno fa in una intervista a MF Davide Albertini Petroni, presidente di Assoimmobiliare.

Assoimmobiliare rappresenta gli operatori e gli investitori istituzionali dell’immobiliare operanti in Italia, sia italiani sia internazionali e vede fra i propri soci Sgr immobiliari, fondi immobiliari, società immobiliari quotate e non quotate, primari istituti bancari, compagnie assicurative, società pubbliche che gestiscono grandi patrimoni immobiliari, società dei servizi immobiliari, dei servizi legali e tributari e della consulenza al real estate. Si tratta insomma della finanza applicata agli immobili.

Secondo Albertini Petroni, il meccanismo della permuta, che ora ha un’imposta di registro del 9%, andrebbe agevolata, fornendo incentivi e sostegni statali. Servirebbe una partnership pubblico-privata, “un’operazione di sistema che coinvolga governo, banche e settore immobiliare”, conclude Albertini Petroni.

I DUBBI SULLA PROPOSTA

La proposta lascia aperti molti interrogativi e parecchi dubbi. La prima riserva è sul fatto che un meccanismo simile, appena fosse inaugurato, farebbe precipitare il valore delle case da permutare e innalzare quello delle case nelle classi energetiche più alte, con un realizzo immediato della perdita all’atto della permuta.

Il secondo dubbio è sul ruolo dello Stato. In questo mercato unico integrato e fortemente competitivo che vorrebbe essere l’Unione europea, in questo autoproclamato paradiso della concorrenza, a quanto pare non si fa altro che reclamare l’intervento dello Stato. Forse, allora, sarebbe il caso di dire esplicitamente che nell’Unione europea lo Stato non serve ad altro che ad assorbire continuamente le inefficienze del mercato generate da politiche europee folli e suicide. Politiche messe in opera, peraltro, da un pugno di funzionari che non rispondono politicamente a nessuno di ciò che fanno e scaricano i costi sui cittadini, che non hanno difesa alcuna.

Il terzo dubbio riguarda la fattibilità concreta di tale proposta e i suoi effetti sociali. Chi oggi abita in una vecchia casa in centro città, certamente non efficiente energeticamente, dovrebbe trasferirsi dove, per avere una casa “a norma”? Dove sono le case in classe A? Occorre costruirne di nuove? E dove?

COS’È LA CASA PER GLI ITALIANI

L’Italia certo è diversa dal resto d’Europa. Il fatto che, come riporta correttamente Alberto Petroni, nel nostro Paese solo il 5% del patrimonio immobiliare sia nelle mani del capitale istituzionale, ha una spiegazione e un significato culturale.

La casa fa parte del concetto tanto enfatizzato del made in Italy, è la base del saper fare e del saper vivere italiano. Fa parte della cultura del buon vivere italiano il concetto di casa, prima ancora che la sua costruzione concreta. In Italia i tre quarti delle case sono di proprietà di chi le abita. Nella cultura italiana, la casa è famiglia, è lavoro, è crescita, è stabilità e gli italiani che vivono all’estero sanno molto bene quanto è diversa la cultura italiana della casa.

L’idea di sradicare le persone dalle proprie abitazioni per mettersi nelle mani della finanza immobiliare a molti potrà anche sembrare una buona cosa. Ma la questione si riallaccia all’idea di fondo che tutto è merce, anche la casa, e che la merce deve cambiare proprietario per creare ricchezza. L’onda del progresso pretende un uomo senza radici, volubile, un contenitore senza storia e senza identità, da riempire con i “nuovi” concetti alla bisogna (il green). Forse occorre chiedersi se la nostra identità, di persone e di popolo, vale più o meno di un appartamento in classe A in periferia.

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