La comunicazione del governo tende a farci credere una cosa: c’è una masnada di cittadini irrequieti, attivisti ludici, assembratori domiciliari e congiunzioinisti orgiastici che vogliono il “tana libera tutti”. E c’è un presidente, severo ma giusto, che li protegge da loro stessi.
Non è così.
Se c’è uno scontento è perché i cittadini sentono di aver fatto il loro: sono stati a casa, si sono lavati le mani e si sono distanziati.
Ma non vedono compiuta l’altra parte del patto: tracciamento dei positivi, isolamento lontano da casa, app&test, mascherine, indicazioni concrete sul destino dei figli a scuole chiuse e a lavoro aperto.
Non vedono un piano, né per il contenimento del virus (oltre a “aspettiamo il caldo”) né per la ricostruzione economica (oltre a “ti presto i soldi ma li spendi come dico io”).
La storia dell’app Immuni è paradigmatica. Ci si prende gioco dei cittadini ritenendoli insensatamente gelosi della loro privacy, ma non si risponde alla domanda: se scopro di essere stato in contatto con un positivo c’è un call center che mi risponde e mi dice cosa fare? C’è qualcuno che viene a farmi un tampone? E se risulto anch’io positivo c’è un posto lontano dalla mia famiglia dove essere isolato, e ci sono volontari che mi portino da mangiare e medici che sorveglino il mio decorso?
Ecco quali sono le domande vere rimaste senza risposta.
(Post pubblicato sul profilo Facebook di Giancarlo Loquenzi)