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Cari Sala e Fontana, collaborate anche sulle case popolari oltre che sulle Olimpiadi invernali?

Il commento di Walter Galbusera, già segretario generale della Uil metalmeccanici di Milano, ora presidente della Fondazione Anna Kuliscioff

Il tema dell’edilizia popolare, associata alla riqualificazione dei quartieri periferici più disagiati, è al centro dell’attenzione della pubblica opinione, delle forze politiche e sociali, degli amministratori pubblici. Prevale in generale un approccio di denuncia-protesta e non sempre le proposte sono presentate con la chiarezza necessaria. Del resto la questione è complessa, particolarmente nei grandi centri urbani e nella realtà di Milano dove coinvolge due livelli istituzionale, quello regionale (Aler) e quello comunale (Metropolitana Milanese SpA).

Nel capoluogo lombardo, per ragioni oggettive, la situazione è particolarmente grave ma lo è ancor di più il fatto che non ci sia la piena consapevolezza che è in serio pericolo la sopravvivenza stessa dell’edilizia popolare, che proprio qui, all’inizio del secolo scorso svolse un ruolo decisivo nella crescita sociale, civile ed economica della città. Sarebbe doveroso riflettere sulle cause, invece prevale una sorta di competizione “destruens” tra il livello comunale e quello regionale, che rispondono a differenti maggioranze politiche. Molte energie, soprattutto da parte della stampa milanese, che non si sottrae a logiche di schieramento sono impegnate a dimostrare i disagi, ritardi, inefficienze di MM o di Aler attribuendole ora alla responsabilità politica del Comune, ora a quella della Regione. Tutto legittimo, per carità, la competizione, anche se ruvida, è utile. Piuttosto bisognerebbe garantire ad Aler e MM parità di condizioni in materia fiscale, di bilancio e di autonomia gestionale, ricercando soluzioni che avvicinino le due realtà per migliorarne l’efficienza complessiva. Quando Regione e Comune di Milano lavorano insieme ottengo spesso ottimi risultati.

La coesione istituzionele è fondamentale quando si gioca fuori casa, come per Expo e Olimpiadi invernali, ma non lo è di meno quando partite importanti si giocano in casa nostra. Per questo sarebbe opportuno anche uno sforzo comune, tra Milano e la Regione per un progetto credibile di sviluppo dell’edilizia pubblica come garanzia di una futura coesione sociale che, pur mantenendo caratteri solidaristici o assitenziali, combatta senza equivoci l’illegalità. Serve un “new deal” per l’edilizia pubblica per rispondere in particolare riferimento ai giovani nuclei familiari e a sostegno degli immigrati regolari per garantirne la piena integrazione. L’abolizione della Gescal fu il frutto di una colossale assenza di lungimiranza che ha tolto continuità e certezza ad un intervento organico e programmato di edilizia pubblica. Il finanziamento continuative rimane una questione da affrontare con urgenza, ma nello stesso tempo premono le questioni contingenti.

La lotta alla morosità colpevole e all’abusivismo è priva de facto di strumenti efficaci. Le occupazioni illegali (più di 4000 nel capoluogo lombardo) che tolgono la casa agli aventi diritto, dovrebbero essere considerate reati molto gravi e accompagnati da sanzioni deterrenti, a prescindere da chi li commette. Oggi gli sfratti avvengono con grande lentezza, anche per la difficoltà di offrire, nei casi della presenza di minori o di disabili, soluzioni alternative che peraltro, quando ci sono, vengono spesso rifiutate senza che nulla accada. Difficile del resto risolvere il problema con il trasferimento in albergo, che rimane un’opzione per un numero limitato di casi.

Se si conviene che sono necessarie soluzioni temporanea da offrire agli sfrattati, non sarebbe opportuno che Regione e Milano dessero vita in tempi brevi ad un progetto concreto per costruire edifici o adattare quelli esistenti con l’obiettivo di collocare in via temporanea e in forza di legge i morosi colpevoli e gli occupanti abusivi in condizioni particolarmente critiche che non hanno dove andare? È davvero così difficile disporre nel territorio luoghi abitativi dove collocare coloro che, per loro responsabilità, non hanno alcun diritto a risiedere nella casa pubblica che occupano? È solo quanto accade nei più civili paesi d’Europa.

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