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Canapa? Come distruggere aziende e posti di lavoro

Tutti gli effetti economici nefasti della sentenza della Cassazione. L'intervento di Augusto Bisegna

Ormai la cartuccera con le munizioni per distrarre le masse del ninistro dell’Interno, Matteo Salvini, è quasi vuota ma ancora ha una sua efficacia, vista la sentenza della Cassazione di ieri che ha riaperto il fronte sulla nota vicenda della canapa light, meglio detta industriale.

Dopo il polverone alzato dal ministro qualche settimana fa sull’onda della nota vicenda Siri, il ministro sollevò di punto in bianco la vicenda dei negozi di cannabis light monopolizzando l’attenzione dei media. “La droga è un’emergenza nazionale” disse. Ma il ministro non faceva rifermento alla cocaina, quella che riempie le piazze di Milano e della Capitale e che arricchisce le casse della malavita organizzata, né all’eroina o le anfetamine e droghe sintetiche, quelle che vanno per lo più tra i giovani, quelle si, sono un emergenza, no.

L’obiettivo del ministro erano – e sono – i negozi di canapa light: “Da domani – disse – darò istruzioni agli uomini della sicurezza per andare a controllare uno per uno i presunti negozi turistici di cannabis, luoghi di diseducazione di massa. Vanno sigillati uno per uno. Saranno proibite e vietate anche tutte le cosiddette feste e sagre della cannabis, siamo contro ogni sperimentazione e regolamentazione della cannabis”.

Affermazione quest’ultima antiscientifica quasi al pari delle posizioni anti-vacciniste che stanno dilagando negli ultimi anni. Insomma il Ministro ha pensato bene che per combattere la droga andava usata la mano pensante, ma non contro ‘ndrangheta, la mafia e la camorra che detengono il monopolio dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti, e nemmeno contro le nuove organizzazioni dello spaccio come i Cult nigeriani, attivissimi nello spazio dell’immigrazione criminale ma sempre all’ombra del paradossale strabismo dell’ideologia securitaria leghista. No! Quelli non lì vede nessuno, tanto meno gli elettori. È il revival della strategia del buio che punta tutto sull’intreccio perverso tra oscurantismo scientifico, moralismo di ritorno, mistificazione e paura. E riflettori spenti su mercati illegali che prosperano, appunto, nel buio proibizionista.

La sentenza della Corte di Cassazione a sezioni riunite del 29 maggio si innesta perfettamente dentro questo filone e lo fa con uno dei vizi peggiori del nostro Paese, l’ambiguità. La sentenza infatti ripesca il DPR 309/90 in particolare l’articolo 73: “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope” incuneandosi nelle falle normative della legge 242 del 2016 che secondo la consulta fa solo riferimento alla coltivazione, che resta ammessa, non la commercializzazione. Come dire: puoi coltivare le patate, ma non le puoi vendere.

Dalla sentenza ne deriva quindi che le condotte di cessione di vendita in genere e la commercializzazione al pubblico di tali prodotti integrano il reato previsto dall’articolo 73 del DPR 309 del 1990, cioè lo spaccio. Un’indicazione quest’ultima appena attenuata dalla circostanza che i derivati della canapa sativa non abbiano effetti psicotropi. Insomma si va avanti a colpi di ambiguità. Un’ambiguità che costa al Paese in termini di credibilità e certezza normativa che va oltre la vicenda canapa.

Per andare da tutt’altra parte stessa modalità si è registrata e si registra ancora nella vicenda ex-Ilva, ora ArcelorMittal con il ministro Costa che minaccia la riapertura dei termini dell’Aia (Autorizzazione di Impatto ambientale) per il sito di Taranto. Insomma dalla canapa all’acciaio le regole cambiano a uso e consumo del governo di turno.

L’effetto di questa sentenza sarà solo quello di tagliare le gambe ad un potenziale mercato, che in questi anni stava mostrando grande vivacità, senza alcun effetto sul traffico reale di sostanze stupefacenti. Le stime sul settore parlano di 40 milioni di euro, oltre 5000 punti vendita e circa 2000 aziende coinvolte che danno (non sapremo ora fino a quando) lavoro a più di 10 mila persone. Un settore in enorme crescita nel mondo e dalle potenzialità infinite, dove stanno investendo giganti del beverage come la Coca Cola Corona, Coors.

A incentivare la diffusione di questa economia è stata la liberalizzazione della marijuana a scopo ricreativo in stati come il Canada, lo scorso 17 ottobre, primo paese industrializzato a farlo, dopo l’Uruguay e in 10 Stati degli Usa ultimo in ordine di tempo la California, che ha legalizzato la marijuana il 1° gennaio di quest’anno, anche se negli Usa sono 33 gli Stati che ne consentono l’uso terapeutico.

Un mercato enorme stimato sui 5 miliardi di dollari. Per capirci, oggi solo per uso medico, in Canada l’economia che ruota intorno alla canapa è di 200 milioni di dollari, mentre negli Usa Euromonitor prevede un mercato da 20 miliardi di dollari nel 2020, quattro volte quello di cinque anni prima.

Oggi le prime 50 società a livello globale che trattano canapa, quotate nelle piazze di Canada e Stati Uniti, hanno messo rialzi intorno al 300%, capitalizzando 65 miliardi di dollari nel 2018. Nell’ultimo rapporto Arcview Market Research e Bds Analytic, nel 2018 la spesa globale per la cannabis legale è stata di 12 miliardi di dollari, nel 2022 potrebbe arrivare a 21 miliardi. Insomma un mercato in pieno fermento che si gioca, non solo sui possibili sviluppi nel campo medico e terapeutico, ma anche sul cosiddetto superfood di cui la canapa è tra le principali materie prime.

I semi della canapa infatti (non contengono thc né cbd) ma un elevato contenuto di acidi grassi essenziali come gli Omega 3, 6 e 9, difficilmente presenti nel giusto rapporto in altri oli vegetali, ricchi di vitamine A, B e D, fondamentali per combattere lo stress ossidativo e i radicali liberi. Proprietà che ne fanno un superfood. I semi sono utilizzati per produrre farina, barrette proteiche, olio, biscotti, pasta, cioccolata, bibite. Un fenomeno, che piaccia o no, sta creando lavoro anche in luoghi inaspettati della penisola.

Nell’entroterra appenninico dell’Abruzzo e delle Marche, ad esempio, diverse piccole aziende agricole avevano cominciato a coltivare dal 2016 canapa sativa, producendo olio, biscotti, pasta. Una scelta dovuta oltre che alla riscoperta di una pianta, tradizionalmente coltivata in queste terre fino agli anni ’50 per produrre fibra per vestiti e cordame, anche perché la pianta di canapa non è mangiata dagli animali selvatici, che in quelle aree montane dell’Appennino non mancano.

Una risorsa importante sul piano agricolo che ha permesso di riattivare terreni incolti mettendo in moto piccole economie rurali, nulla di più lontano dallo spaccio e dalla delinquenza. Una scommessa alla quale sono state tagliate le gambe dalla sentenza di ieri, che seppur nell’ambiguità, ha aperto un clima da caccia alle streghe di cui il principale responsabile è il Ministro Salvini e a ruota la Meloni di Fratelli D’Italia.

Ora tranne i Radicali, che da anni sono impegnati nella battaglia di legalizzazione della cannabis, né il Movimento 5 Stelle, in un primo momento favorevole, né il Pd si stanno opponendo a questo clima medioevale contro la canapa, anzi Zingaretti si è affrettato a dichiarare che lui era “personalmente” favorevole alla chiusura dei negozi di cannabis light”. Insomma tutti uniti contro un nemico inesistente, pur di non affrontare i nodi critici del paese che si chiamano: disoccupazione, evasione, debito, burocrazia, giustizia, malavita organizzata…

La normativa sulla cannabis che si era evoluta più negli ultimi 5 anni, che nei tre decenni precedenti, con un’ accelerazione simile a quello che accadde nella seconda metà degli anni ’30: la fine dell’antiproibizionismo e la nascita nel giro di qualche decennio dell’industria globale degli alcolici, oggi si ferma bruscamente e rischia di mandare in fumo gli investimenti e i sacrifici di migliaia di persone. E mentre in Italia il Consiglio Superiore di Sanità e il fronte proibizionista continua ad opporsi a colpi di disinformazione e distorsione ideologica e strumentale della realtà, il resto del mondo va in direzione opposta.

Il 24 gennaio di quest’anno l’Organizzazione mondiale della Sanita OMS ha inviato il proprio parere all’Onu dopo la review sulle proprietà terapeutiche e della pericolosità della cannabis. La raccomandazione è di rimuovere dalle sostanze più pericolose la canapa e di favorirne l’uso terapeutico riconoscendo la necessità di rivedere le proprie posizioni su una famiglia di principi attivi della canapa che, negli ultimi 20 anni hanno rivelato proprietà mediche utili per la cura di molte malattie. Il cannabidiolo CBD, che non presenta il principio psicoattivo, ha ad esempio riconosciuti effetti antinfiammatori, anticonvulsivi, antiossidanti, antiemetici, ansiolitici, antipsicotici. Tutte patologie che richiederebbero, per serietà, un approccio scientifico e non ideologico come quello della politica italiana.

Una ricerca, quella sulla canapa, che aprirebbe opportunità per la cura di cancro, alzheimer, sindromi post traumatiche da stress, sclerosi multipla, diabete, glaucoma e varie malattie neurodegenerative, ma anche dissociazioni psichiche e depressione su cui già esistono testimonianze della loro efficacia tali da meritare la ricerca scientifica.

In Italia attualmente la produzione della canapa terapeutica, quella con alti contenuti di thc è affidata esclusivamente allo stabilimento chimico farmaceutico di Firenze per una produzione che si stima per l’anno in corso intorno ai 150 kg, più o meno un decimo del fabbisogno dei nostri ospedali . Il resto è importato da Germania e Olanda. Nel mentre l’Istituto europeo di oncologia ha lanciato un gruppo di studio per combattere i tabù sull’uso terapeutico della cannabis.

C’è poi un aspetto non secondario su tutta questa vicenda: come ha dimostrato qualsiasi politica antiproibizionista della storia del mondo, dall’alcool alle sigarette, legalizzare significa portare alla luce un mercato altrimenti sommerso, significa garantire la bontà del prodotto, ed evitare il contatto tra spacciatore e “cliente” che ha tutto l’interesse a far “assaggiare” altro e portare introiti allo Stato, se questo non vi sembra etico, i dati dimostrano che dove c’è stata la legalizzazione diminuiscono anche i consumi.

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