Un sequestro da oltre 1,2 miliardi di euro è stato disposto nei confronti della holding lussemburghese Lagfin Sca, azionista di controllo del gruppo Campari, nell’ambito di un’inchiesta per presunta evasione fiscale legata al mancato versamento della cosiddetta exit tax.
L’indagine, avviata un anno fa e coordinata dalla Procura di Monza con la Guardia di Finanza di Milano, riguarda l’operazione di fusione tra le holding del gruppo effettuata nel 2018. Gli indagati sono Luca Garavoglia, principale erede e presidente del gruppo, e Giovanni Berto, rappresentante della succursale italiana di Campari.
L’INCHIESTA E IL SEQUESTRO
Il provvedimento di sequestro preventivo è stato notificato venerdì 31 ottobre a borse chiuse ed è scattato sulle azioni ordinarie di Campari detenute da Lagfin, per un valore complessivo di 1,2 miliardi di euro, corrispondente a circa il 16% del capitale sociale della società quotata. L’ipotesi di reato, si legge sul Sole 24 Ore, è di “dichiarazione fraudolenta mediante artifici” e di “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”.
Secondo quanto ricostruito dal quotidiano economico, l’indagine nasce da una verifica fiscale sul mancato pagamento dell’exit tax dovuta dopo la fusione per incorporazione tra la holding italiana Alicros e la lussemburghese Lagfin, decisa nel 2018 dalla famiglia Garavoglia. L’operazione, formalmente motivata da esigenze di semplificazione societaria, ha comportato il trasferimento all’estero del controllo del gruppo e del 51,3% delle azioni di Campari, con il 38,8% dei diritti di voto della società olandese Davide Campari-Milano NV.
Gli inquirenti contestano che, al momento della fusione, non siano state dichiarate plusvalenze per oltre 5,3 miliardi di euro, sulle quali l’imposta non versata ammonterebbe a circa 1,2 miliardi. Stando a La Stampa, la Guardia di Finanza ritiene che la branch italiana creata a Milano dalla nuova holding estera servisse solo a simulare una presenza fiscale in Italia, mentre la gestione effettiva del ramo finanziario avveniva in Lussemburgo.
COS’È L’EXIT TAX
L’exit tax, come spiega Rai News, è l’imposta applicata dallo Stato quando una società trasferisce la propria residenza fiscale o i propri asset all’estero, con l’obiettivo di tassare le plusvalenze latenti maturate nel territorio nazionale. Si tratta di un meccanismo volto a evitare che le imprese delocalizzino per sottrarsi alla tassazione italiana sui guadagni di valore generati nel Paese.
Per la Procura di Monza, la Lagfin non avrebbe versato l’imposta dovuta in seguito alla fusione del 2018, con cui la holding lussemburghese assorbì la controllata italiana, detentrice del pacchetto azionario di maggioranza di Campari, trasferendo così la residenza fiscale dei relativi asset all’estero.
I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE E LE ACCUSE
Nel febbraio 2019, ricorda Repubblica, si completava la fusione transfrontaliera tra Alicros Spa, cassaforte italiana della famiglia Garavoglia, e la Lagfin Sca lussemburghese. Stando al quotidiano romano, dalle carte dell’accusa emergono scambi interni in cui Luca Garavoglia manifestava preoccupazione per i rischi fiscali dell’operazione, affermando: “Chiedo solo se indicare l’indirizzo lussemburghese non cozzi con il fatto che la partecipazione è inserita nella stabile organizzazione italiana. E così deve essere, pena 50 milioni di tax bill!”.
Gli inquirenti parlano di un “dispositivo fraudolento” volto a “simulare l’effettiva confluenza dell’intera azienda di Alicros Spa in una stabile organizzazione italiana di Lagfin Sca”, costituita solo per evitare l’imposizione dell’exit tax. Nella documentazione emerge che tale struttura non esercitava le funzioni tipiche di un gestore di asset finanziari, delegando la gestione a soggetti esterni, e dunque non poteva essere considerata fiscalmente rilevante in Italia.
Il calcolo dell’imposta evasa, effettuato dalla Guardia di Finanza, parte dal costo storico del 51% di Campari, pari a 9 milioni di euro, confrontato con il valore di mercato di 5,63 miliardi, includendo un premio di maggioranza del 21%. Detraendo 250 milioni di costi fiscalmente riconosciuti e applicando l’aliquota del 24%, l’imposta dovuta risulterebbe pari a 1,291 miliardi di euro, cifra corrispondente al sequestro disposto. Secondo Repubblica, è inoltre pronto un ulteriore sequestro preventivo da 645 milioni a carico di Garavoglia.
LE REAZIONI E L’IMPATTO IN BORSA
Nella prima seduta successiva alla notizia, il titolo Campari ha registrato un calo tra il 2,5% e il 3,5% a Piazza Affari. Come riporta Ansa, la misura cautelare non riguarda direttamente il gruppo industriale, ma esclusivamente la holding Lagfin, che mantiene comunque oltre l’82% dei diritti di voto della società e il 51,8% delle azioni ordinarie.
In una nota, la holding ha chiarito che «la questione attiene un contenzioso fiscale in essere da circa due anni e che non ha mai riguardato in alcun modo il gruppo Campari», aggiungendo di essere «certa di avere sempre operato nel pieno rispetto di tutte le norme, incluse quelle fiscali italiane».
Gli analisti di Equita ritengono che, per far fronte a eventuali esborsi, la famiglia Garavoglia potrebbe scegliere di finanziare un aumento di capitale in Lagfin anziché cedere quote di Campari oppure optare per la distribuzione di un dividendo straordinario da parte del gruppo, fino a 600 milioni di euro, mantenendo il rapporto debito/ebitda sotto le 3 volte.






