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Brunetta

Ecco il nuovo manuale del perfetto sognatore europeo

Cosa scrive (e cosa spera) il ministro Brunetta sul Sole 24 Ore a proposito di debito europeo. Il corsivo di Giuseppe Liturri

 

Domenica sul Sole 24 Ore, a firma del ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, abbiamo letto il manuale del perfetto sognatore europeo.

Se qualcuno avesse bisogno di una prova dei rischi e dei conseguenti danni che originano dal continuare a vagheggiare soluzioni “europee” – incuranti della realtà che mostra solo divisioni – ebbene, questa è la summa.

Una accurata miscela di affermazioni apodittiche e mere speranze che non può passare inosservata e merita un’analisi puntuale, non foss’altro per capire – a poche ore da un Consiglio Europeo molto importante – la distanza che ci separa dall’approccio pragmatico di tutti gli altri partner europei.

Ucraina, difesa comune, energia, sicurezza alimentare”, questi sono i temi sul tavolo dei leader. E per ciascuno di essi la realtà di queste ultime settimane ha dimostrato, per tabulas, che gli interessi degli Stati membri sono divergenti, al punto che manca dal 4 maggio il consenso sul sesto pacchetto di sanzioni che riguarda un eventuale embargo sul petrolio russo.

Ma per Brunetta sono “beni pubblici comuni”. Perché? Non è dato sapere. Viceversa la realtà sta dimostrando che si tratta di temi la cui soluzione a livello di istituzione UE si presenta molto difficile. Inevitabilmente, cercare la convergenza di 27 Stati porta ad un minimo comune denominatore posizionato molto in basso nella scala di efficacia delle soluzioni. Insomma, per far andare d’accordo tutti, si rischia di partorire il solito topolino. Ci permettiamo di ricordare quale incredibile calvario sia stata la decisione di acquistare in comune i vaccini ad opera della Commissione. Mesi di ritardo, con la Gran Bretagna che ci aveva agilmente preceduto e qualche polemica di troppo sui costi e sul ruolo della Presidente Ursula Von der Leyen.

Ma questo è il meno. Ammesso e non concesso che sia così, Brunetta prosegue chiedendosi dove trovare i soldi per finanziare tutto quell’imponente programma. Scivola velocemente – come se fosse un dettaglio insignificante, invece è l’elefante dentro la stanza – sull’assenza di “sincronismo” tra politica monetaria della Banca Centrale e politica di bilancio degli Stati. Si ricorda di aggiungere “a differenza degli USA”, anche qui come se fosse cosa di poco conto. Insomma è colpa del sincronismo. Come l’amalgama del Presidente del Catania Calcio. Giammai ammettere che i Trattati vietano alla Banca Centrale il finanziamento del debito pubblico.

Parliamo di una scala dell’ordine dei trilioni di euro”, aggiunge il ministro e, non si sa per quale imperscrutabile motivo, “è fin troppo evidente che attingere dalle ordinarie fonti provenienti dai bilanci nazionali non sia affatto sufficiente. Occorre, quindi, indebitarsi.” Quindi l’unico debito buono è quello contratto dalla EU con un Next Generation 2. Pare di capire che, per comprare lo stesso chilo di patate, se le massaie si presentano in banca in cooperativa, allora ottengono il finanziamento, altrimenti nulla. Strano.

Brunetta è ben consapevole di come stia arrancando il NGEU 1 e quindi propone di “compiere un ulteriore salto verso la sovranità europea”, lasciando alla Commissione la redazione di un unico piano europeo “come abbiamo già fatto con i vaccini”. Lo stesso disastro, insomma.

Ma Brunetta non si nasconde che anche il NGEU 2 è molto divisivo. Allora come se ne esce?

I mercati sarebbero ben contenti di poter acquistare nuovo debito europeo, e secondo il ministro, “basterebbe questo per far capire, anche agli amici rigoristi e “frugali” del Nord, restii all’emissione di nuovo debito comune, come il mercato degli eurobond sia oggi nettamente più appetibile ed efficiente rispetto a quello dei titoli di Stato nazionali”.

Ci permettiamo di far osservare a Brunetta che è tutta da dimostrare questa maggiore appetibilità ed efficienza. Infatti, le emissioni della Commissione  – a partire dal Fondo Sure per circa 90 miliardi e proseguendo con le emissioni per il NGEU per altri 100 miliardi circa – hanno spuntato un tasso di interesse inferiore a quello del BTP, ma sempre superiore di almeno 20/30 punti base a quello del Bund di pari scadenza, pur avendo un livello di rischio sostanzialmente identico. In pratica, gli investitori si sono visti regalare, a parità di rischio, almeno 20/30 punti base. È questa l’efficienza delle emissioni della Commissione?

Brunetta non può non sapere che il mercato dei titoli di Stato italiani, con circa 400 miliardi di emissioni annue, è molto più ampio, liquido ed efficiente del mercato delle emissioni della UE, di cui infatti ammette i limiti, che però non appaiono sufficienti a provocargli dei ripensamenti.

Anzi, subentra la solita logica TINA (there is no alternative) perché “scaricare l’onere del finanziamento di queste nuove politiche agli Stati nazionali potrebbe comportare un’apertura degli spread”. Perché, lo ammette egli stesso, la BCE non può più fare ciò che ha fatto in passato. Quindi, paradossalmente, la colpa è degli Stati che emettono titoli. Giammai della Bce che non ne gestisce accortamente il mercato.

Allora, tutte gli sforzi devono essere rivolti verso il convincimento dei Paesi scettici  – “le formiche del Nord”, qualsiasi cosa voglia dire, cioè nulla, perché le formiche siamo noi con 25 anni quasi ininterrotti di avanzi primari alle spalle – che continuano ad avere “una visione della politica economica circoscritta ai confini nazionali”. C’è “bisogno di grandezza e di visione”, conclude Brunetta. Siamo al sogno in purezza, al mito del “pennello grande”.

Perché non può tornare in mente la pubblicità del pennello “Cinghiale”. Brunetta è rimasto fermo nei panni dell’imbianchino che gira in bicicletta trasportando un enorme pennello e viene redarguito dal vigile che gli ricorda che “per dipingere una parete grande, non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”. Qualcuno dovrebbe avvisarlo che non serve nemmeno quello, perché manca anche la parete grande da dipingere.

Ostinarsi a voler risolvere certi problemi a livello sovranazionale – cercando convergenze impossibili e ignorando che la natura di quei problemi è tale da richiedere soluzioni segmentate e ritagliate ad un livello istituzionale più basso, su misura di ogni singolo Stato – porta solo ad aumentare le occasioni di scontro e divide l’Europa.

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