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Perché la bozza della riforma fiscale non mi convince. Parola di prof

Lo Stato deve redistribuire le risorse, attraverso il prelievo fiscale, accettando che i tempi sono cambiati, che la fiscalità deve concentrarsi sui consumi e superare così i limiti territoriali delle imposte vigenti. L'intervento di Chiara Oldani, professore di Politica Economica presso l'Università degli Studi della Tuscia e la Sapienza Università di Roma.

 

Le notizie che filtrano dalla stampa sulla “riforma” fiscale sono davvero sconfortanti. Limare aliquote delle imposte sui redditi (Irpef, ecc.) non può essere chiamato “riforma”; riforma significa dare forma, non limare qui e lì, senza risolvere il nodo di fondo che è la perdita di gettito dello Stato, di competitività dell’economia. Il gettito non sarà recuperato con la ‘riforma’ di cui leggiamo in questi giorni e la competitività non ne gioverà; la riforma fiscale italiana rientra nell’elenco delle riforme necessarie per avare i fondi PNRR e non vedersi richiedere indietro quelli già erogati. Deve essere presa seriamente.

Nella famosa scena del film Non ci resta che piangere, ambientato nel Medioevo, Benigni e Muti sul carretto passano la frontiera e il doganiere chiede loro “Chi siete, cosa fate, cosa portate”. A prescindere dalle loro risposte, chiede il pagamento della tassa di 1 fiorino.

Cade il sacco per terra, Muti scende dal carro per raccoglierlo e il doganiere ripete le stesse domande, per avere di nuovo 1 fiorino.

Il fisco italiano dal Medioevo ad oggi non è molto cambiato, si ostina a tassare le sole attività di lavoro, in gran parte dipendente, come faceva il doganiere sordo e cieco del film. Ai lavoratori dipendenti non resta che piangere, coprono buona parte delle spese dello Stato con le loro imposte e non hanno difese.

Le imposte vigenti risalgono agli anni ’70 del Novecento, anni in cui si poteva individuare una base imponibile, un soggetto passivo d’imposta. La riforma fiscale degli anni ‘70 era rivoluzionaria e ha costretto la pubblica amministrazione ad evolvere. Sono passati 50 anni.

Oggi una ampia parte delle attività economiche sono dematerializzate (es. social network e i relativi guadagni), sono scambiate su blockchain (es. crypto, NFT e smart contracts) e sono soprattutto prive di territorialità fiscale (es. Apple, Amazon e le altre aziende della Silicon Valley non pagano tasse in nessun paese del mondo). La perdita di gettito stimata dal OCSE per via di questi fenomeni supera i 240 miliardi di dollari annui. Non si possono davvero pensare di recuperare queste somme in sella ad un carretto medievale.

Lo Stato deve redistribuire le risorse, attraverso il prelievo fiscale, accettando che i tempi sono cambiati, che la fiscalità deve concentrarsi sui consumi e superare così i limiti territoriali delle imposte vigenti.

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