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Bcc, cosa va (e cosa non va) con Ccb in Carige. L’intervento di Bindelli

Ccb in Carige? L'intervento di Marco Bindelli, vice presidente e consigliere delegato ai rapporti con il Credito Cooperativo e le Capogruppo del Banco Marchigiano-Credito Cooperativo (gruppo Ccb)

La riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) in corso di attuazione sta vivendo la fase più delicata che rischia di stravolgere il modello cooperativo prospettato con la Legge n. 49/2016, la quale era riuscita a sventare l’azzeramento delle licenze bancarie tentato nel 2015 con il famoso decreto presentato in Consiglio dei Ministri (governo Renzi) e poi misteriosamente scomparso.

Tentativo per nulla sopito e che, a detta di chi ha recentemente trattato i rischi dell’operazione Carige per Cassa centrale banca (Ccb), si sostanzia nella possibile eterogenesi del Gruppo bancario cooperativo (Gbc), che nasce come cooperativo e cresce come (trasformandosi in) lucrativo.

Nell’amletico dubbio circa la natura e la funzione del Gbc si inserisce l’aspettativa per quanto farà il nuovo governo e la nuova maggioranza parlamentare, chiamati a dare attuazione ad alcuni decreti ministeriali determinanti per la corretta attuazione della riforma e a manifestare il proprio indirizzo politico sulle modifiche ed integrazioni apportate dalla precedente maggioranza gialloverde che ha sempre mostrato perfetta sintonia per i provvedimenti riguardanti il sistema cooperativo (continuità o discontinuità con la mini “contro-riforma” delle Bcc operata dal Conte Uno?).

Dopo una breve ricostruzione del processo di riforma del credito cooperativo e dei rischi insiti nell’operazione Carige, si analizzeranno i decreti in attesa di emanazione e quelli auspicati dalle Bcc.

LE RAGIONI DELLA RIFORMA DELLE BCC

Le principali motivazioni addotte per convincere le Bcc ad accettare una riforma per la quale ancora oggi ci si interroga se possa essere definita “autoriforma”, sono riconducibili a queste tre:

  1. Necessità di patrimonializzazione;
  2. Carenze di governance;
  3. Rendere efficienti, competitive e tecnologiche le Bcc.

La prima criticità (necessità di capitalizzare le Bcc) è stata in più occasioni evidenziata anche dall’Autorità di vigilanza che, essendo interessata alla stabilità degli intermediari finanziari, ha fatto pressione affinché la capogruppo del Gbc, cui devono obbligatoriamente aderire le Bcc, assumesse la forma giuridica di società per azioni (Spa).

E’ di tutta evidenza che nessun investitore avrebbe interesse ad immettere denaro fresco in una società cooperativa capogruppo in cui vige il principio del voto capitario e l’obbligo di accantonare utili a riserve indivisibili che, in caso di liquidazione, verrebbero trasferite ai fondi mutualistici, senza con ciò concludere che non esistano investitori disposti ad impiegare i propri capitali in Spa il cui scopo lucrativo non risulti esclusivo (il c.d. capitale paziente).

E’ altrettanto vero che, a seguito della crisi finanziaria del 2008 e, in special modo, di quella del 2010-2011, molte Bcc si siano venute a trovare in grave difficoltà patrimoniale a causa dei crediti deteriorati accumulati.

Va peraltro puntualizzato che i valori medi del comparto sono comunque rimasti sempre nettamente positivi, dal momento che gli andamenti tecnici fortemente negativi di diverse Bcc sono stati ampiamente controbilanciati da quelli decisamente virtuosi di numerose altre Bcc, le cui performance sono risultate nettamente superiori a quelle evidenziate dalle migliori banche Spa (la famosa media di Trilussa).

Tutto ciò ha indotto qualche commentatore ad affermare che il presupposto della riforma “inutilmente emergenziale era l’assunto, non dimostrato e poi contraddetto dai fatti, secondo il quale il sistema cooperativo non avrebbe avuto la capacità di affrontare il peso e le conseguenze della crisi economica oramai non più congiunturale” e che “è evidente che le Bcc non erano portatrici delle criticità paventate”, dal momento che “ora, a quanto pare, queste banche sono anche in grado di affrontare da protagoniste l’onerosa operazione di mercato per rimettere in piedi una banca decotta di rilevanti dimensioni quale è Carige con la benedizione della Bce” .

Oppure, sempre in riferimento a Carige: “Per i critici è stata la conferma dei veri effetti di una riforma (non l’unica) calata dall’alto con lo spauracchio della imminente fine del mondo. Nel 2016, sotto dettatura di Bankitalia, Renzi ha imposto alle Bcc italiane l’adesione a una holding in forma di Spa, pena la perdita della licenza bancaria. Si è detto che questa mossa di stampo sovietico era l’unica possibile perché molti piccoli istituti erano in crisi. In realtà si sono perpetuati conflitti di interessi e faide locali in una holding che ha il ruolo di direzione e coordinamento delle Bcc aderenti, con facoltà di emanare disposizioni vincolanti. Bankitalia si è raccomandata di agire sempre con finalità mutualistiche, che con la remunerazione del capitale hanno poco a che fare. L’emergenza è sparita, ma sembra essere servita per consegnare un pezzo rilevante del credito italiano alle logiche delle Spa, cioè al mercato” .

Sempre sulle ragioni tradite che hanno imposto la riforma, emblematica è la posizione di un direttore di Bcc: “C’è il serio pericolo che le Bcc non possano più svolgere quella funzione di mutualità che è stata da 130 anni una delle loro principali caratteristiche … La riforma fu fatta perché la capogruppo (ndr. Ccb) doveva coordinare e dirigere le 84 banche finite sotto la sua ala protettiva. Ad un certo punto ci siamo trovati tra i piedi la questione dell’acquisizione di Carige, perché lo Stato non sapeva a chi affidare questa patata bollente. L’ha presentata come un affare, che avrebbe prodotto utili fra 2 anni. Il problema è che anche Carige è una Spa e Cassa centrale assorbendola avrà degli sportelli, cosa che all’epoca non erano previsti” .

La carenza di governance è l’altra debolezza sbandierata da più parti per imporre la riforma. Anche in questo caso la media di Trilussa ha prodotto i suoi effetti.

La presenza di numerose Bcc correttamente amministrate e dirette a fianco di altrettante male amministrate e mal dirette, delle quali il sistema cooperativo si è sempre fatto carico senza mai chiedere un centesimo allo Stato o al resto del sistema bancario, unitamente alla crisi di molte banche Spa o Popolari (che in alcuni casi hanno messo in difficoltà i risparmiatori che in esse avevano riposto fiducia), hanno relegato nell’oblio tale criticità, che invece appare sempre più di interesse generale (e non di esclusiva pertinenza di alcune Bcc). Non è un caso che il decreto del Mef (Ministero dell’economia e delle finanze), che deve disciplinare requisiti e criteri di idoneità degli esponenti bancari (auspicabilmente proporzionati alle dimensioni bancarie) e che doveva essere emanato dal ministro Padoan, non abbia ancora visto la luce.

Nel contempo va ricordato che, anche in presenza di mala gestio, appare sicuramente più agevole il ricambio di amministratori di una banca Spa rispetto a quelli di una Bcc. Difficoltà, quella delle banche cooperative, che tuttavia dovrebbe essere risolta con i nuovi strumenti introdotti dalla riforma (si pensi ad esempio alle azioni di finanziamento o alla possibilità di revocare/nominare gli organi sociali) e con la possibilità di intervento sulle Bcc in difficoltà attribuita alle capogruppo dei Gbc; ovviamente, a condizione che la governance delle stesse capogruppo si riveli ancor più seria, competente, professionale e, soprattutto, priva di conflitti di interesse, rispetto a quella delle Bcc.

Più volte infatti, sin dal 2016, è stata rimarcata l’importanza della governance delle banche e, in particolare, delle capogruppo dei Gbc.

In questa sede ci si limita a ricordare: (a) che il legislatore della riforma ha attribuito una grande responsabilità alla capogruppo del Gbc (da qui l’importanza della governance) affinché gestisca correttamente l’autonomia responsabile delle Bcc affiliate e mantenga solido, efficiente e competitivo l’intero gruppo nel rispetto delle finalità mutualistiche; (b) come i conflitti di interesse abbiano spesso portato ad avere consiglieri di amministrazione poco consapevoli delle proprie responsabilità e competenze e, per contro, presidenti e/o direttori che hanno assunto il ruolo di “padri-padroni” .

In definitiva, si può affermare che la governance delle Bcc abbia rappresentato un reale fattore critico in grado di giustificare una riforma che, in presenza di un’adeguata governance della capogruppo, presenta tutti gli elementi utili e necessari per superare tale difficoltà.

Pure la necessità di rendere efficienti, competitive e tecnologiche le Bcc costituisce una reale esigenza del credito cooperativo che dovrebbe trovare valida soluzione con la corretta messa a regime dei Gbc.

La scarsa efficienza, che caratterizza buona parte delle banche di minori dimensioni (a prescindere dalla loro forma giuridica), è strettamente correlata al continuo proliferare di norme indistintamente indirizzate a tutte le banche senza applicazione del principio di proporzionalità, mentre la loro potenziale scarsa competitività, così come il richiamato gap tecnologico, sono rimuovibili mediante il ricorso ad opportune economie di scala, che per le Bcc dovrebbero essere naturalmente realizzate nell’ambito del Gbc.

In questa rivista si ebbe modo di affermare, già nel 2016, che la riforma “rischia di aggravare una situazione già difficile qualora il credito cooperativo, chiamato ora a confrontarsi e a competere con i grandi gruppi bancari, non riesca a risolvere i veri problemi che si segnalano da tempo: governance, efficienza ed innovazione … il credito cooperativo è costretto a produrre un progetto industriale serio, efficace e, soprattutto, scevro da quelle logiche politiche che hanno caratterizzato sino ad ora, nel bene e nel male, il sistema. Occorre, cioè, riformare la riforma delle Bcc appena approvata, o quanto meno coloro che l’hanno proposta, introducendo concetti di meritocrazia, competenza e trasparenza nella governance della capogruppo e, conseguentemente, delle Bcc aderenti” .

Dopo le prime rudimentali e per certi versi anche demagogiche bozze predisposte dalle candidate capogruppo per accaparrarsi le adesioni delle Bcc, ora loro affiliate, il credito cooperativo è ancora in attesa di conoscere i reali progetti industriali dei due Gbc.

Sempre su questa rivista venne formulato l’auspicio che la Banca d’Italia (in aderenza al dettato normativo della riforma) potesse inserire nelle proprie Disposizioni attuative l’obbligo specifico, per le capogruppo, di promuovere l’efficienza, la competitività e la tecnologia delle Bcc. Auspicio che venne puntualmente esaudito dall’Organo di vigilanza con la seguente previsione normativa riprodotta nei contratti di coesione sottoscritti dalle Bcc e dalle capogruppo: “dovere (ndr. della capogruppo) di promuovere la competitività e l’efficienza delle banche affiliate attraverso un’offerta di prodotti, servizi, soluzioni organizzative e tecnologiche adeguata alle esigenze di mercato” .

Inoltre, la stessa Banca d’Italia, non appena costituiti i due Gbc nazionali, ha ricordato alle due neo capogruppo che “il pieno conseguimento dei benefici della riforma delle Bcc dipenderà in larga misura dall’efficacia dell’interazione tra le capogruppo e le singole Bcc nell’innalzare i livelli di efficienza e di redditività (ndr. la redditività non può che essere intesa come competitività, altrimenti risulterebbe in contrasto con il principio mutualistico che deve caratterizzare sia le Bcc che i Gbc), nello sfruttare le economie di scopo e nel migliorare i processi di gestione del credito, anche sulla base dell’esercizio di valutazione dei bilanci da parte della vigilanza unica (Comprehensive assessment) … gli interventi di razionalizzazione necessari andranno condotti tempestivamente, con riferimento in particolare alla redditività delle reti di sportelli e alle loro dimensioni”, mentre “la capacità delle Bcc di continuare a operare al servizio dei territori di insediamento richiede che i sistemi di gestione e controllo dei rischi convergano in tempi brevi verso standard elevati, anche al fine di prevenire il sorgere di relazioni d’affari improprie o situazioni di conflitto di interesse” .

Gli interventi della Banca d’Italia descrivono icasticamente l’attuale situazione delle due capogruppo.

RUOLO DELLA CAPOGRUPPO E OPERAZIONE CARIGE

Pur non richiamando espressamente ruolo e funzioni della capogruppo, la Banca d’Italia è intervenuta in più occasioni (per la precisione, dopo la costituzione del Gbc di Iccrea Banca, per ben tre volte in appena due mesi) anche per ricordare poteri e doveri della capogruppo di un Gbc.

Per il Governatore Visco con la nascita dei due Gbc “ha preso avvio la riforma del comparto varata nel 2016 per rafforzare la solidità complessiva della categoria, mantenendone la natura mutualistica. I nuovi gruppi dovranno mirare a conciliare i benefici della vicinanza e della conoscenza che le singole banche hanno nei confronti delle imprese locali con l’efficace sfruttamento di sinergie di costo, così da incrementare la redditività e la capacità di fare ricorso al mercato quando necessario; l’impegno su questi fronti deve essere massimo” .

Posto che i poteri di una capogruppo sono rinvenibili dall’analisi delle norme di vigilanza prudenziale e degli artt. 2497 e ss. del codice civile, al fine di agevolare la comprensione del ruolo e della funzione della capogruppo è opportuno richiamare i doveri della stessa nei confronti delle Bcc, contenuti nei contratti di coesione e nelle citate Disposizioni attuative di Bankitalia del 2 novembre 2016 e che, al paragrafo 1.8, sono qualificati in:

  • salvaguardia delle finalità mutualistiche delle Bcc;
  • mantenimento per il Gbc dello spirito cooperativo, della mutualità prevalente, della solidarietà e non discriminazione tipici del credito cooperativo;
  • tutela della sana e prudente gestione delle Bcc;
  • promozione della competitività ed efficienza delle banche affiliate per mezzo di un’offerta adeguata di prodotti, servizi, soluzioni organizzative e tecnologiche adeguata alle esigenze del mercato;
  • disciplina dei criteri di compensazione e di equilibrata distribuzione dei vantaggi derivanti dall’attività comune al fine di assicurare il corretto esercizio dell’attività di direzione e coordinamento (artt. 2497 e ss. del codice civile).

Premesso che la normativa vigente pacificamente ammette la possibilità di escludere (financo completamente) la finalità lucrativa anche per le Spa (si consideri ad esempio la società consortile di cui all’art. 2615 ter del codice civile o l’impresa sociale di cui al D.lgs. 117/2017) e che lo scopo sociale (il fine perseguito con l’attività sociale) ricavabile dall’oggetto sociale delle due capogruppo sembrerebbe condurre ad identificare uno scopo misto (lucrativo e mutualistico), risulterebbe utile verificare se l’operazione Carige, interessando una zona di competenza estranea a quella del Gbc trentino (principalmente la Liguria), non contrasti con l’oggetto sociale di Ccb.

Non è questa la sede per un approfondimento (che richiederebbe tempo e competenze specifiche di carattere societario e bancario) teso ad accertare se per dimensione o numero degli sportelli che saranno acquisiti da Ccb questa possa, con il tempo, trasformarsi in società esclusivamente lucrativa e perdere quello scopo mutualistico che invece è più volte richiamato dall’Autorità di vigilanza ed espressamente indicato nel contratto di coesione.

Tuttavia, anche superando la questione della coerenza dell’oggetto sociale, qualora fosse accertato che il salvataggio di Carige comportasse la perdita dello scopo mutualistico per il Gbc, resterebbe, in ogni caso, la violazione di un preciso dovere contrattuale da parte della capogruppo.

Difatti, oltre a prevedere espressamente l’obbligo di mantenimento dello spirito cooperativo del Gbc, il contratto di coesione, disciplinato ed approvato da Bankitalia, sancisce il dovere per la capogruppo di “orientare il gruppo verso modelli di business coerenti con i principi cooperativi e ad adottare misure organizzative e assetti di gruppo idonei a limitare i rischi derivanti da attività non riconducibili a finalità mutualistiche svolte dalla stessa capogruppo e da altre società del gruppo” .

Puntualmente i potenziali rischi dell’operazione Carige sono stati evidenziati dai maggiori esperti bancari: “E’ di intuitiva percezione quale e quanta sia la negativa incidenza di questo progetto strategico sull’osservanza dei criteri informatori della legge di riforma delle Bcc … la Cassa (ndr. Ccb), a ben considerare, intende spostare il suo agire in un contesto lontano dalla logica cooperativa. Sorgono fondate perplessità in ordine all’efficacia del monito del Governatore della Banca d’Italia alle due capogruppo … è stata disattesa la raccomandazione di un esponente dell’Organo di vigilanza … Più in generale, divengono riproponibili i dubbi di legittimità costituzionale da più parti prospettati sulla riforma delle Bcc” .

È lecito quindi domandarsi se sia casuale che al momento Ccb abbia assunto l’impegno ad acquisire una partecipazione Carige inferiore al 10%, rinviando al futuro la complessa autorizzazione di Banca d’Italia sulla detenzione di quote superiori che potrebbe comportare violazione di norme vigenti.

Tornando ai rischi, neppure alla politica sembrerebbero sfuggiti.

Queste le parole pronunciate poco tempo fa da Riccardo Fraccaro: “La recente operazione di Cassa centrale banca su Carige, con un esborso di 165 milioni fra capitale sottoscritto e acquisto del bond subordinato, conferma che le preoccupazioni che ho sempre sollevato in merito alla riforma del credito cooperativo si stanno materializzando”.

Inoltre, il senatore della Lega Alberto Bagnai, con interrogazione parlamentare del 18 luglio 2019, ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico (Mise) delucidazioni circa i tempi di emanazione del decreto ministeriale (atteso per il 31 marzo scorso) con il quale lo stesso ministero deve disciplinare i controlli finalizzati a verificare che l’esercizio del ruolo e delle funzioni delle capogruppo dei Gbc risultino coerenti con le finalità mutualistiche delle Bcc. Dopo aver richiamato l’art. 45 della Costituzione – con il quale si riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e si prevede che la legge (a) ne promuova e favorisca l’incremento con i mezzi più idonei e (b) ne assicuri, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità – il senatore leghista ha chiesto di “verificare che le agevolazioni fiscali di cui le banche aderenti godono (direttamente connesse al favor del legislatore per la funzione sociale della cooperazione) non si traducano, direttamente o indirettamente, in un vantaggio competitivo per società capogruppo che invece operano secondo una logica tradizionale di massimizzazione del profitto”. In sintesi, il dubbio di Bagnai è che le capogruppo dei Gbc – costituite con i capitali del credito cooperativo formati con utili che hanno usufruito di benefici fiscali – anziché ispirarsi ai principi cooperativi della mutualità, perseguano (direttamente e/o indirettamente) finalità lucrative o progetti industriali che si pongano al di fuori dell’area mutualistica, generando un problema di tutela della concorrenza ed il rischio di far perdere i benefici fiscali alle Bcc. La risposta positiva per conto del governo venne fornita proprio da Fraccaro, il quale, ignaro dell’imminente crisi di governo che stava per aprirsi, assicurò che il decreto sarebbe arrivato in tempi brevi e che le perplessità erano proprie anche nel governo di allora (il Conte Uno).

Alla luce di quanto esposto e tenuto conto delle modifiche apportate alla riforma dalla maggioranza gialloverde, appare fin troppo evidente l’urgenza di emanare il decreto del Mise che definisce ruolo e funzione della capogruppo e fissa le modalità di vigilanza cooperativa di cui all’art. 20 ter della Legge n. 136/2018.

LE ALTRE DISPOSIZIONI NORMATIVE ATTESE DALLE BCC

Oltre all’auspicio di poter revisionare ulteriormente alcuni aspetti della riforma16, nel credito cooperativo cresce l’ansia per gli indirizzi che il nuovo governo giallorosso adotterà in tema di politiche bancarie. Non tanto perché il nuovo programma di governo, a differenza di quello gialloverde, prevede semplicemente che “è necessario porre in essere politiche per la tutela dei risparmiatori e del risparmio”, quanto per l’orientamento che assumerà la nuova maggioranza nei confronti delle piccole banche e, in particolare, di quelle cooperative (Popolari e Bcc).

A parte l’attesa per i decreti del Mise e del Mef di cui s’è detto e che potranno fornire un’indicazione dell’orientamento politico verso il credito cooperativo, le apprensioni maggiori si riversano sulla possibilità per il neo ministro economico (Roberto Gualtieri) di intraprendere una “battaglia” (auspicabilmente insieme all’Autorità di vigilanza nazionale che pare orientata in modo favorevole) per la concreta attuazione del criterio di proporzionalità della regolamentazione e della supervisione.

Più volte si è detto della “follia” e dei “paradossi” della regolamentazione bancaria europea e della supervisione che avvantaggiano le grandi banche e penalizzano le più piccole, in special modo le Bcc, al punto che la costituzione dei due Gbc ha dato luogo alla classificazione delle stesse tra le banche Significant, al pari di colossi europei come Société Generale, BBVA o Deutsche Bank.

Ora i tempi sembrano maturi per un allineamento della normativa europea ai criteri della Dodd-Act americana, la quale, dal fallimento della Lehman Brothers, sostiene e valorizza lo sviluppo delle piccole banche attraverso una regolamentazione (e una supervisione) meno stringente e differente da quella prevista per le grandi banche.

In altre parole, il nuovo ministro economico dovrebbe prendere atto che in Europa (e soprattutto in Italia dove le PMI generano l’80% dell’occupazione totale) le banche cooperative risultano più efficienti nella concessione di prestiti all’economia reale, favorendo così crescita, occupazione e stabilità del sistema.

L’affermazione che le banche cooperative risultano più efficienti nella concessione di prestiti rispetto alle banche maggiori è frutto di un’analisi condotta a livello europeo su un campione di banche cooperative e casse di risparmio ed è confermata da un altro recentissimo studio in cui viene anche dimostrato quanto sia controproducente per le banche minori una regolamentazione unica che non tiene conto di un adeguato livello di biodiversità del sistema bancario. “Un aspetto, quest’ultimo, di cui si dovrebbe tenere conto anche nell’applicazione della normativa sui requisiti di capitale e sulla ponderazione delle attività definite rischiose che, finora, ha penalizzato gli istituti maggiormente dediti a una attività creditizia di tipo tradizionale e quindi con clientela prevalentemente di piccole e medie imprese e famiglie al contrario dei principali global player che, nel corso degli anni, hanno appesantito i propri bilanci con prodotti derivati e speculativi ritenuti meno rischiosi e di cui solo adesso la vigilanza europea sta chiedendo il conto (su tutti il caso Deutsche Bank)” .

In definitiva, ora che i Gbc sono operativi, le nuove forze politiche dovrebbero adoperarsi per apportare tutte quelle modifiche normative necessarie per agevolare, da una parte, la regolare applicazione della legge di riforma e quindi il corretto funzionamento delle capogruppo e delle Bcc e, dall’altra, la rimozione di quei vincoli normativi e regolamentari che generano diseconomie di scala che avvantaggiano le grandi banche e spingono all’aggregazione degenerativa delle Bcc.

A tal proposito, al fine di scongiurare aggregazioni innaturali di Bcc (magari “spinte” anche dall’Autorità di vigilanza europea) e, nel contempo, dare attuazione a quanto previsto dall’art. 37 bis, comma 7, lett. a) del Testo unico bancario, sarebbe utile fissare da parte del Mef il numero minimo di Bcc che devono essere ricomprese in un Gbc, avendo ben presente che tale quantità non potrà non tener conto, ad esempio, di quello rappresentato dalle Raiffeisenkassen della provincia di Bolzano, le quali, a differenza delle Bcc di tutte le altre regioni, hanno avuto la possibilità di scegliere tra Gbc nazionale, Gruppo provinciale e Institutional protection scheme (Ips). D’altronde l’emanazione di tale decreto non richiede alcuna autorizzazione da parte di organismi europei.

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