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Bankitalia, i conti pubblici, i ricatti Ue e le bufere mediatiche sul nulla. L’analisi di Liturri

Pure Bankitalia conferma i conti del 2019 del nostro Paese erano in ordine e, paradossalmente, si rischia pure che il 2020 faccia segnare un deficit/Pil più alto. Ma ora la Commissione europea tace, a differenza dei siluri indirizzati al governo Conte 1...

Il Bollettino Economico pubblicato da Banca d’Italia il 17 gennaio offre numerosi spunti di riflessione sull’andamento dell’economia nell’ultimo trimestre del 2019 e sulle prospettive per i primi mesi del 2020.

Tra i tanti, si ha la conferma di due dati del 2019:

1) La crescita del PIL reale si dovrebbe attestare al 0,2% (il documento programmatico di bilancio ad ottobre prevedeva 0,1%, con un ultimo trimestre praticamente a crescita zero).

2) il deficit/PIL dovrebbe essere pari a 2,2% (conferma il dato del DPB).

La memoria non può non andare a quelle frenetiche giornate di novembre e dicembre 2018, quando un deficit/PIL del 2,4% sembrava rischiasse di condurre il Paese sull’orlo del baratro (immaginario, come quello del 2011).

Ho già descritto in modo puntuale in altri interventi la sequenza degli eventi, anche intrecciata con la contemporanea trattativa sul Mes, che portò poi il governo italiano ad apportare una correzione al bilancio 2019 per circa €10 miliardi, riducendo il deficit/PIL al 2%, ed a rimandare alla primavera successiva la valutazione di un eventuale avvio della procedura d’infrazione da parte del Consiglio Europeo.

Il via libera della Commissione Ue tenne bloccata l’attività delle Camere fino al 19 dicembre e l’approvazione avvenne entro la fine dell’anno a colpi di fiducia su testi praticamente inemendabili.

In quelle settimane, non c’era giorno in cui Reuters, Bloomberg o il Financial Times non ospitassero interventi di Commissari Ue che ammonivano o apertamente minacciavano il nostro Paese, accusandolo di una grave violazione alle regole del Patto di Stabilità e Crescita e del Fiscal Compact. La reazione dei mercati fu conseguente e lo spread toccò i massimi intorno a 320 punti, non riuscendo mai scendere sotto i 280.

Ad aprile 2019, la pressione tornò a salire. La Commissione ci contestava la violazione della regola del debito, quella che dovrebbe farci ridurre l’eccedenza del debito/PIL rispetto al 60% per 1/20 all’anno, in pratica una cura da cavallo con avanzi primari nell’ordine del 4-5% all’anno.

A giugno 2019, anche questa volta in coincidenza con un altro passaggio decisivo della trattativa sul MES, la tensione salì ancora e costrinse il governo a varare una legge di assestamento che, senza introdurre alcuna nuovo taglio di spesa o aumento di tasse, prendeva atto delle minori spese e delle maggiori entrate già consolidatesi nel primo semestre e blindava nuovamente il deficit/PIL al 2%. Da precisare che nel primo semestre 2019, a causa del peggioramento delle previsioni di crescita del PIL, il deficit/PIL si era nuovamente riportato intorno al 2,4%.

Il 3 luglio la saga si concludeva con la valutazione della Commissione di non proporre al Consiglio Europeo l’apertura della procedura d’infrazione.

A consuntivo, si può quindi affermare che il deficit/PIL al 2,2% del 2019 sarà lievemente inferiore a quello del 2018 e pari a quello previsto per il 2020. Siamo sempre intorno al 2,2%.

8 mesi di inutile bufera mediatica e di incertezza diffusa sui mercati hanno prodotto in effetti un risultato: fare scendere il deficit/PIL dal 2,4% della prima bozza dell’ottobre 2018 al 2,2% del preconsuntivo di venerdì scorso.

Il ricatto partito a maggio 2018 con “i mercati insegneranno gli italiani a votare nel modo giusto” del Commissario Ue al Bilancio Gunther Ottinger, e tutto il seguente corollario di toni allarmistici dei vari Moscovici e Dombrovskis, si è rivelato per quello che era sin dal principio: una chiara lotta politica celata dietro evanescenti motivazioni tecniche.

Ora pure Bankitalia conferma che i conti del 2019 del nostro Paese erano in ordine e, paradossalmente, si rischia pure che il 2020 faccia segnare un deficit/PIL più alto. Ma in questo caso la Commissione tace, non avendo avversari politici da contrastare.

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