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Rogowski Atlantia

Atlantia, cronaca di uno sprint vincente

Che cosa si arguisce dal comunicato stampa di Palazzo Chigi sull'accordo fra governo e Atlantia su Autostrade per l'Italia. L'approfondimento di Teo Dalavecuras

É stata una decisione sofferta. Forse, in qualche passaggio, addirittura contrastata. Il comunicato stampa di Palazzo Chigi lo lascia intendere, nella prosa lapidaria, quasi tacitiana, delle ultime due righe: “Il Consiglio dei Ministri, sospeso alle 23.30 (era cominciato tre quarti d’ora prima, ndr), è ripreso alle 0.30 del 15 luglio. Sospeso nuovamente alle 1.05, è ripreso alle 3.39 ed è terminato alle 5.16”.

Alla fine però i Benetton hanno avuto quel che si meritavano.

  1. Misure compensative ad esclusivo carico di Autostrade per l’Italia (Aspi).
  2. Riscrittura delle clausole della convenzione.
  3. Rafforzamento del sistema dei controlli a carico del concessionario (che è ancora Aspi, ma lo insegnano già alle medie che bisogna evitare le ripetizioni).
  4. Aumento delle sanzioni anche in caso di lievi violazioni da parte del concessionario (ops!).
  5. Rinuncia a tutti i giudizi promossi.
  6. Accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall’Autorità di regolazione dei trasporti. Ridimensionati gli arroganti padroni di Ponzano Veneto. E questa è pur sempre una bella soddisfazione per i borghesi, non necessariamente piccoli, che in tutti questi anni avevano mal tollerato l’irresistibile ascesa di quei “fabbricanti di golfini” di provincia entrati e solidamente insediati nella città proibita dell’alta finanza.

Nel capitolo successivo intitolato “Punti relativi all’assetto societario del concessionario” c’è, o dovrebbe esserci, la ciccia. “In vista della realizzazione di un rilevantissimo piano di manutenzione e investimenti, contenuto nella stessa proposta transattiva” – si legge nel comunicato – Atlantia S.p.a. e Aspi si sono impegnate a garantire l’immediato passaggio del controllo di Aspi a un soggetto a partecipazione statale (Cassa depositi e prestiti – Cdp) mediante:

  1. Sottoscrizione di un aumento di capitale riservato da parte di Cdp.
  2. Acquisto di quote partecipative da parte di investitori istituzionali.
  3. Cessione diretta di azioni ASPI a investitori istituzionali di gradimento di Cdp con impegno di Atlantia a non destinare in alcun modo tali risorse alla distribuzione di dividendi (qui si indovina la mano di Mariana Mazzuccato, ndr).
  4. Scissione proporzionale di Atlantia con l’uscita di Aspi dal perimetro della holding dei Benetton. “In alternativa”, conclude il comunicato, “Atlantia ha offerto la disponibilità a cedere direttamente l’intera partecipazione in Aspi, pari all’88%, a Cdp e a investitori istituzionali di suo gradimento”.

“Ci hanno cacciati a calci in culo”, fa commentare con trasparente sarcasmo la vignetta del Foglio a un Luciano Benetton che si sforza di esprimere sconforto. Questo però è esattamente quel che traspare da una lettura distratta – la norma per il lettore di oggi – del comunicato. E Benetton (quello vero, non quello della vignetta) ci aggiunge del suo: “Non mi sorprendono gli interessati attacchi politici di persone senza qualità. Mi indigna la sistematica opera di demonizzazione della nostra famiglia, promossa dai vertici dello Stato. Mai mi sarei aspettato certi termini e certi toni pubblici dal premier Conte e da alcuni suoi ministri”: parole di grande fairplay dove in quell’aggettivo, pubblici, si intravede una dose di veleno a rilascio ritardato, come certi farmaci.

Ricapitolando, i pedaggi autostradali calano, gli obblighi e i controlli a carico dei concessionari si appesantiscono, le sanzioni si inaspriscono, quelli dei golfini devono perfino rinunciare alla possibilità, pur costituzionalmente garantita, di tutelare in giudizio i loro diritti abbandonando tutte le cause intraprese, vengono estromessi in malo modo dal business delle autostrade italiane.

Ma qui sta il punto: è vero infatti che oggi i fratelli di Ponzano Veneto “…risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza…” come 102 anni fa gli Austriaci, ma un aspetto rimane non del tutto chiaro: a che pro l’armamentario – al limite del sadismo – di inasprimenti, sanzioni, aggravi e quant’altro a carico del concessionario? La sola cosa certa che emerge dalle facce feroci di Palazzo Chigi è che la concessione di Aspi da qui a non molto tempo non sarà più affare dei Benetton i quali, finita la pacchia, si apprestano com’è logico a alzarsi da tavola, ma sarà un problema della Cdp e/o degli investitori istituzionali “graditi”. Certo, quando ci si alza da tavola si paga il conto, ma su questo aspetto il governo, troppo impegnato a fare la faccia feroce, è comprensibilmente molto, molto vago.

Se poi si vuole per un momento essere seri, prescindere dagli show comunicazionali, si deve riconoscere che né il comunicato di Palazzo Chigi, né i non paper di cui è generoso, offrono elementi per un’analisi minimamente fondata dei costi e dei benefici: dal punto di vista delle valutazioni l’unico elemento tangibile è l’andamento da montagne russe del titolo Atlantia che negli ultimi giorni a cavallo di “Vittorio Veneto” ha oscillato in una misura che va al di là delle più rosee aspettative di un insider trader di professione.

Sul piano generale le conclusioni sono due. La prima: gli strascichi della tragedia del Ponte Morandi diventano un problema dello Stato, in ultima analisi dei contribuenti, oltre che dei piccoli azionisti che, come amava dire Aldo Ravelli, sono lo spago che tiene insieme il salame.

La seconda: la “sfortuna” dei Benetton è stata di trovarsi al centro di una tragedia non il 9 ottobre 1963 come i loro “predecessori” della Sade, ma il 14 agosto 2018, nell’epoca della politica ridotta a marketing di bassissima lega. Senza però dimenticare che al dilagare incontrollato di questo regime del marketing, che in Italia ha prodotto tra l’altro Berlusconi, i 5 Stelle e tutto quel che ne è seguito, anche la famiglia di Ponzano Veneto ha contribuito in maniera rilevante.

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