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Beni culturali, petrolio d’Italia. Belli ma poveri

Quanto vale il patrimonio artistico culturale e naturale dell'Italia? Si può valutare un bene come il Colosseo o la Galleria Borghese? Oppure la campagna toscana? La notte dei Musei sta riaprendo il dibattito, mai sopito, del valore dei nostri beni culturali, invidiati da tutto il mondo ma non del tutto custoditi.

Le ragioni per le quali non siamo bravi e del tutto in grado nel custodire i nostri beni culturali possono essere tante, e anche qui le leggi e la burocrazia ed una serie di mancate riforme come il Codice unico dei Beni culturali sono tra le cause principali del mancato decollo dei nostri beni storici.

Difficile poi, valutare il valore di un bene artistico, si potrebbe dire che questo è infinito, non è pensabile di dare un valore monetario all’area archeologica di Pompei e di Ercolano. Sarebbe impossibile. Poi il valore di un bene è dato dalla sua fruibilità, secondo le regole del mercato. Ora però sappiamo che il valore intrinseco di un’opera o di un sito artistico genera valore, più di quanto possiamo pensare. Attira visitatori, fa muovere il mondo dei trasporti, genera ricchezza sul territorio.

Si calcola che ogni euro speso in un museo ne generi due di ricchezza. Secondo il rapporto della Fondazione Symbola, in collaborazione con Unioncamere, l’intera filiera di musei, mostre, eventi culturali, hotel, artigianato, territorio, in Italia genera un valore di 214,2 miliardi di euro, una cifra mostruosa, che equivale a più del 15% del nostro Prodotto interno lordo. Se però andiamo a verificare quanti Musei italiani dispongono di un App per i visitatori ci rendiamo conto che questi non raggiungono il 5% del totale. Perciò, molti intravedono le grandi potenzialità di una collaborazione tra pubblico e privato. Una collaborazione ottimale, però. Su questo punto bisognerebbe chiarire i confini di una sana collaborazione tra pubblico e privato, che non vuol dire lasciare alle Soprintendenze, come già avviene, solo le briciole dei ricavi derivanti dall’attività museale. 

In occasione della notte dei Musei, a Roma si è scatenata la polemica per la chiusura del Colosseo. Il Teatro Flavio rischia di non essere visitabile perché, secondo il personale incaricato, ci sarebbe un problema di sicurezza legato alla poca luce nelle ore notturne. E qui apriti cielo! Incontri sindacali, polemiche politiche e amministrative, lamentele dei custodi per i tagli, offerte da parte di privati che si dicono pronti a pagare le spese di apertura. Il valore del Colosseo, quello simbolico, non quello economico (!), lo conosciamo tutti. Un’altra polemica, poi, ha scatenato la mancanza di aria condizionata nella Galleria Borghese di Roma, il quinto museo più visitato d’Italia. Per non parlare di Pompei e di Ercolano che versano in uno stato continuo di emergenze. Qualche anno fa era girata voce che una cordata straniera (francese o americana) si era detta pronta a farsi carico della ristrutturazione dell’intera area archeologica, ma forse questa voce non è stata mai del tutto fondata. 

Intanto la Corte dei Conti ha aperto nel passato un’istruttoria nei confronti di Standard&Poors per il declassamento che questa ci ha ‘inflitto’ nel 2011, perché secondo la magistratura contabile italiana non si tiene conto del nostro patrimonio artistico culturale nel valutare il rating italiano. Ma il tema ritorna: quanto valgono davvero i nostri beni culturali? All’economia dei nostri tempi quanto interessa?

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