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Food Delivery Caporalato

Chi sono i rider che dicono no al contratto subordinato. Report

Oltre il 78% dei rider oggetto di una ricerca della Link Campus University boccia la proposta di direttiva europea. Tutti i dettagli.

 

Secondo una ricerca condotta dalla Link Campus University, che ha coinvolto centinaia di rider di tutta Italia operanti per le principali aziende di food delivery (Deliveroo, Glovo, Just Eat), il 78,4% di loro si è dichiarato contrario alla proposta dell’Unione europea di estendere il modello del lavoro subordinato anche ai gig workers.

PERCHÉ NON È UNA SORPRESA

Nicola Ferrigni, professore associato di Sociologia generale alla Link Campus University, ha spiegato che “l’elevata percentuale di rider contrari a prima vista desta sorpresa, ma in realtà si spiega se guardiamo all’essenza di quest’attività lavorativa, che si costruisce attorno al valore identitario e non negoziabile della libertà. Questo significa una gestione autonoma e flessibile del rapporto tempo/guadagno, del tutto in contrasto con la rigidità (reale e/o percepita) del lavoro subordinato. I rider non discutono infatti la necessità di garantire alla propria categoria un sistema di tutele (di cui anzi lamentano la mancanza), bensì mettono in discussione gli strumenti e le modalità attraverso i quali tali tutele dovrebbero essere attuate”.

PERCHÉ I RIDER DICONO NO

Le motivazioni per cui i rider dicono “no” alla proposta di direttiva europea sono molteplici. Il 35,6% di loro ha paura di perdere la propria autonomia, mentre il 31,7% teme che il contratto di lavoro subordinato non gli conceda la possibilità di gestire autonomamente il rapporto tra lavoro e guadagno. Vi è anche un 15,9% che pensa che la soluzione andrebbe a snaturare il lavoro del rider. A sostegno di tali preoccupazioni, chiamati a descrivere in una parola il proprio lavoro, i rider rispondono “libertà” nel 44,2% e “indipendenza” nel 27,1%.

LA QUESTIONE DELL’ALGORITMO

Nella proposta della Commissione europea è centrale il tema dell’algoritmo, che la direttiva si propone di “arginare”, ri-umanizzandolo a partire dalla possibilità di correggere l’automatismo informatico.

Su questo aspetto la ricerca nota come, da una parte, vi sia un 36,8% di intervistati che considera l’algoritmo “indispensabile per garantire un servizio efficiente”, e un 21,7% che addirittura lo percepisce come un incentivo che “motiva a lavorare bene”.

Tuttavia, vi è anche un 23,2% (in modo particolare tra gli over 30) che vede nell’algoritmo un meccanismo oscuro di cui ignora il funzionamento.

IL COMMENTO DI FERRIGNI

“A mio avviso, questo è un punto nodale”, afferma Ferrigni, “che definisce la cultura del lavoro che caratterizza le giovani generazioni e le professioni della gig economy. I giovani vedono infatti nell’algoritmo il naturale regolatore della propria attività, e non ne hanno paura. Al contrario, essi vivono la logica dell’algoritmo in una prospettiva di meritocrazia digitale, come upgrade di un modello italiano del lavoro dove il merito mediamente non viene sempre valorizzato.

CHI SONO I RIDER

L’anticipazione dei risultati della ricerca mostra che i rider sono perlopiù giovani (il 51,7% ha meno di 35 anni), e che nel 38,6% dei casi hanno scelto questa attività perché “piace”; per il 16,9% si tratta invece di un secondo lavoro, che consente di arrotondare le entrate.

Di contro, il 22,4% svolge questa attività in assenza di altre opportunità di lavoro e il 18,6% per necessità (percentuali che crescono soprattutto tra gli over 45).

RIDER E PANDEMIA

La ricerca conferma il ruolo giocato dalla pandemia per la crescita di questa occupazione: il 68,3% dichiara infatti di aver iniziato l’attività da meno di due anni, in molti casi (e soprattutto tra i “meno giovani”) per “tamponare” la perdita di occupazione e/o la riduzione degli introiti derivante dal Covid.

IL GRADO DI SODDISFAZIONE

Chiamati a esprimere il proprio livello di soddisfazione nei confronti dell’attività che svolgono, i rider promuovono la possibilità di guadagno (il 65,2% si dichiara abbastanza soddisfatto, il 4,8% molto soddisfatto) e la flessibilità organizzativa (26,4% “abbastanza” e 58,7% “molto”). Un lavoro, inoltre, di cui i rider vivono con consapevolezza e orgoglio l’utilità sociale, con il 59,5% che si dichiara “abbastanza” soddisfatto e il 24,9% “molto”.

MANCANZA DI TUTELE

La stragrande maggioranza dei rider intervistati considera però non adeguato il sistema di tutele legali e sindacali. Complessivamente, infatti, oltre il 60% esprime un giudizio negativo (il 22,6% per nulla soddisfatto, il 42,1% poco soddisfatto).

FINE DELLA LOGICA SUBORDINATO CONTRO AUTONOMO?

“La ricerca”, sostiene Ferrigni, “conferma la necessità di uscire dalla logica subordinato vs. autonomo, che guarda all’assunzione a tempo indeterminato come a un punto di arrivo per il lavoratore. ‘Ingabbiare’ la nuova cultura del lavoro in schemi rigidi e obsoleti non solo produce un ‘muro contro muro’, ma crea, anche e soprattutto, una frattura tra Istituzioni e realtà produttive da cui la nostra società non potrà che uscire danneggiata”.

I GUADAGNI

La ricerca ha inoltre indagato la dimensione economica dell’attività di rider, sia dal punto di vista del guadagno medio mensile che con riferimento agli introiti derivanti dalle mance: un aspetto, quest’ultimo, particolarmente rilevante per gli occupati.

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