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La Francia mette al bando il fast fashion (ma solo quello cinese)

La Francia dice di voler dichiarare guerra al fast fashion ma la legge approvata al Senato colpisce principalmente i colossi cinesi come Shein e Temu, mentre risparmia dalle sanzioni più severe attori europei come Zara, H&M e Kiabi. Tutti i dettagli

 

Sanzioni per le imprese inquinanti, divieto di pubblicità, obblighi per le piattaforme, influencer multati. In Francia la proposta di legge, approvata martedì scorso dal Senato, per arginare il fenomeno del fast fashion prevede vari strumenti. Tuttavia, l’obiettivo sembra essere quello di colpire Shein e le piattaforme di e-commerce, piuttosto che la tendenza in generale. Colossi europei come H&M, Zara o Kiabi non sono infatti interessati dalle sanzioni più pesanti.

Per essere applicata, la legge dovrà ora essere oggetto di un accordo tra deputati e senatori all’interno di una commissione mista paritaria, prevista per l’autunno. Nel frattempo, verrà informata anche la Commissione europea che potrà inviare le sue osservazioni.

UN DISEGNO DI LEGGE APPROVATO ALL’UNANIMITÀ

“Abbiamo tracciato una linea netta tra chi vogliamo regolamentare – la moda ultra-veloce – e chi vogliamo preservare: la moda accessibile ma radicata, che dà lavoro in Francia, che struttura i nostri territori, che crea legami e sostiene un tessuto economico locale”, ha dichiarato martedì la senatrice dei Républicains Sylvie Valente Le Hir, relatrice del testo, presentato dalla deputata del partito Horizons Anne-Cécile Violland e approvato all’unanimità.

“Questo testo ha due obiettivi: proteggere il nostro ambiente e il nostro commercio”, ha spiegato la ministra per il Commercio Véronique Louwagie.

ECO-SANZIONI

Se la legge entrerà in vigore imporrà obblighi come quello di sensibilizzare i consumatori sull’impatto ambientale dei loro vestiti e, stando a Le Monde, “non ci sono dubbi sul fatto che Shein dovrà versare le ‘ecocontribuzioni’ rafforzate previste dalla legge, secondo un principio di ‘bonus-malus’ legato ai criteri di ‘durabilità’ delle aziende”. La sanzione arriverà ad almeno 10 euro per articolo nel 2030.

La Francia è particolarmente sensibile al tema perché, secondo Fashion Network, tra il 2010 e il 2023 il valore dei prodotti pubblicizzati nel settore è passato da 2,3 miliardi di euro a 3,2 miliardi di euro. Inoltre, si calcola che circa 48 capi di abbigliamento per persona vengono immessi nel mercato francese ogni anno e 35 vengono buttati via ogni secondo nel Paese.

DIVIETO DI PUBBLICITÀ, SANZIONI PER GLI INFLUENCER E “DAZI”

Il disegno di legge prevede anche il divieto totale di pubblicità per il fast fashion e sanzioni per gli influencer che promuoveranno questo tipo di prodotti. La conformità di queste misure alla Costituzione rimane tuttavia oggetto di dibattito.

Inoltre, il Senato ha adottato anche “una disposizione inattesa”, scrive Le Monde, ovvero l’introduzione di una tassa, compresa tra 2 e 4 euro, sui piccoli pacchi spediti da aziende con sede fuori dall’Unione europea.

SHEIN NEL MIRINO

Sebbene il testo finale prevede l’applicazione delle penalità anche per gli attori europei meno sostenibili, secondo il quotidiano francese, “nel mirino dei senatori c’è in particolare la piattaforma Shein”.

L’azienda con sede a Singapore infatti spicca per l’enorme quantità di prodotti messi in commercio che, secondo un’analisi di Afp condotta tra il 22 maggio e il 5 giugno, si traduce in 7.220 nuove referenze al giorno in media. Una valanga rispetto alle circa 290 nuove referenze quotidiane nella categoria “abbigliamento donna” e 50 in quella “uomo” del sito di H&M.

DA QUESTIONE AMBIENTALE A QUESTIONE COMMERCIALE

Non sono tuttavia mancate le critiche. Per Pierre Condamine, responsabile della campagna di Friends of the Earth France, si tratta infatti di “un’occasione mancata” perché il testo “si rivolge a due marchi [Shein e Temu, ndr] e quindi lascia fuori quello che rappresenta almeno il 90% della produzione e dell’abbigliamento venduto in Francia. È un’occasione persa. Potremmo avere una vera ambizione ambientale. Siamo molto delusi perché, alla fine, vediamo che è la protezione economica a essere diventata il principale motore di questa legge. Al contrario, all’inizio c’era l’ambizione di portare il settore verso pratiche più sostenibili”.

“Purtroppo non abbiamo scelta – ha ammesso la senatrice conservatrice Sylvie Valente Le Hir -. Oggi dobbiamo ancora difendere ciò che resta delle nostre industrie europee. Dobbiamo fare una distinzione tra la produzione che viene fatta in Cina da questi giganti. Stiamo parlando di dimensioni cento volte superiori alle nostre. Perciò stiamo preservando le industrie europee e francesi per il momento, perché se non lo facciamo, non rimarrà nulla”.

LA RISPOSTA DI SHEIN (ACCUSATA DI LOBBYING DAI FRANCESI)

Shein, che già nei giorni precedenti, aveva parlato di “legge anti-Shein”, ha reagito immediatamente dopo il voto, affermando che “questa proposta di legge rischia di far ricadere la responsabilità della sostenibilità sui consumatori, già sottoposti a pressioni economiche, riducendo ulteriormente il loro potere d’acquisto”.

Gioiscono invece i principali attori della moda in Francia, i quali però hanno chiesto ai senatori “di non cedere all’infernale azione lobbying di Shein”, che starebbe tentando di “sabotare” il testo. Intanto, il gigante cinese si mobilita affiggendo cartelli con slogan come “La moda è un diritto, non un privilegio” e organizzando raduni di consumatori.

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