Skip to content

Shein Causa Temu

Il mondo al contrario di Shein

Shein, notoriamente accusata da brand e artisti indipendenti di copiare le loro creazioni, ha fatto causa a Temu per la vendita di prodotti contraffatti e violazione del copyright. Tutti i dettagli

 

Shein che fa causa a Temu per la vendita di prodotti contraffatti e violazione del copyright. Sembra uno scherzo e invece è vero. In una denuncia civile, la prima ha accusato la seconda di rubare abitualmente i suoi modelli e un dipendente di aver rubato segreti commerciali riservati.

Inoltre, Shein sostiene che Temu perde denaro per ogni vendita effettuata e quindi, per compensare, ricorre alla violazione del marchio.

LA CAUSA DI SHEIN CONTRO TEMU

Il gigante cinese del fast-fashion Shein ha citato in giudizio il rivale Temu, sostenendo che il rivenditore “ha rubato i suoi modelli e ha costruito un impero con la contraffazione, la violazione della proprietà intellettuale e la frode”.

L’azione legale, depositata lunedì presso la corte federale di Washington, arriva mentre Shein stessa deve affrontare accuse simili da parte di vari marchi e artisti indipendenti, tra cui Levi Strauss e H&M.

Nella sua denuncia, Shein sostiene che Temu, di proprietà di PDD Holdings, “si maschera” da legittimo marketplace perché incoraggia i suoi venditori a rubare i disegni di altri marchi e poi impedisce loro di rimuovere i prodotti dalla piattaforma, anche dopo aver ammesso la violazione.

Inoltre Shein afferma che almeno uno dei dipendenti di Temu ha rubato “preziosi segreti commerciali” che identificavano i suoi prodotti più venduti, insieme a informazioni interne sui prezzi.

COPIARE PER MINIMIZZARE LE ENORMI PERDITE

Ma Shein va oltre. “Temu attira i consumatori statunitensi a scaricare e utilizzare la sua applicazione mobile con la promessa di prezzi estremamente bassi. Ma Temu non trae profitto dalla vendita di questi prodotti, che hanno prezzi così bassi che Temu deve sovvenzionare ogni vendita, perdendo denaro su ogni transazione”, si legge nella denuncia riportata dalla Cnbc.

E prosegue: “Solo incoraggiando i suoi venditori a violare i diritti di proprietà intellettuale altrui e a vendere prodotti contraffatti o al di sotto degli standard, Temu può sperare di minimizzare le ingenti perdite che sta sovvenzionando”.

Il documento di 80 pagine depositato da Shein comprende più di una dozzina di esempi di abiti e modelli che Temu avrebbe copiato.

L’USO DEI SOCIAL

Nella denuncia l’e-commerce afferma poi anche che Temu ha finto di essere Shein su X nel tentativo di “sviare i clienti”. Uno screenshot, allegato al documento, mostra infatti un annuncio sponsorizzato da Temu su Google che mostra Shein nel titolo, ma Temu come indirizzo web.

“Per ingannare ulteriormente i consumatori – si legge -, Temu ha incaricato i suoi influencer di affermare che i suoi prodotti sono più economici e di qualità superiore rispetto a quelli di Shein”.

LA RISPOSTA DI TEMU

Senza avere tutti i torti, in risposta, un portavoce di Temu ha dichiarato che “la sfacciataggine di Shein è incredibile”: “Shein, sepolta da una montagna di cause per violazione della proprietà intellettuale, ha la faccia tosta di inventare accuse contro altri per la stessa cattiva condotta per cui è stata ripetutamente citata in giudizio”.

L’anno scorso era stata Temu a fare causa a Shein per problemi di copyright e per le accuse di “intimidazione mafiosa dei fornitori” per costringerli ad accordi di esclusività.

LA “MODA” DI SHEIN E TEMU

I due giganti del super fast fashion hanno rapidamente conquistato il settore della vendita al dettaglio con i loro prodotti a prezzi bassissimi e la loro capacità di rispondere alle tendenze molto più velocemente dei loro concorrenti tradizionali. Tuttavia, per riuscirci sono spesso state accusate per le loro pratiche di lavoro, per i legami con il governo cinese e per aver copiato altri brand.

Un rapporto del giugno 2023 riferiva infatti che tanto Temu quanto Shein “violano regolarmente le leggi statunitensi sulle tariffe d’importazione”, evitando così le tariffe e le verifiche sui diritti umani per alcune spedizioni. Lo scorso maggio, invece, un’indagine ha riscontrato che alcuni lavoratori lavoravano 75 ore a settimana e avevano uno o meno giorni di riposo.

Torna su