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Così Trump giochicchia sul prezzo di Switch 2 e di tutti i videogiochi

L'aumento dei dazi voluto da Donald Trump ha travolto Nintendo, che solo poche ore prima aveva annunciato l'arrivo negli Usa della sua ultima console, Switch 2. Risultato: preordini sospesi in attesa di capire l'impatto delle tariffe sui listini. Si muove L'Entertainment Software Association che alla Casa Bianca ricorda che "l'industria dei videogiochi sostiene oltre 350.000 posti di lavoro e genera più di 14 miliardi di dollari di tasse".

Nintendo, una delle major dell’industria videoludica, non ha nemmeno fatto in tempo ad annunciare la data di uscita della sua prossima console, la Switch 2, che subito l’ormai famigerata serie di dazi – che nelle intenzioni del presidente statunitense Donald Trump servirebbe per spingere gli americani a comprare esclusivamente prodotti a stelle e strisce – ha costretto l’azienda nipponica a bloccare i preordini. Stando così le cose, infatti, la Big Tech giapponese non sarebbe in grado di assicurare oggi a quale prezzo sarà proposta ai videogiocatori statunitensi la nuova piattaforma il prossimo 5 giugno, giorno del debutto.

NIENTE PREORDINI (AL MOMENTO) PER SWITCH 2

Che vi fosse tale rischio se ne era parlato parecchio nelle ore immediatamente successive alla presentazione della nuova macchina, assieme ad altri rumor secondo i quali almeno negli Usa il prezzo della prossima console Nintendo – dal display 1080p da 7,9 pollici sensibilmente più grande del modello oggi in commercio, con 256 GB di spazio di archiviazione e nuove feature legate all’uso dei Joy Con – sarebbe potuto aumentare anche del 35 per cento rispetto agli annunci originari.

Alla fine è stato lo stesso ufficio stampa di Nintendo, attraverso Eddie Garcia, a contattare una delle più influenti testate americane del settore tech, The Verge, ufficializzando che i preordini non inizieranno più il 9 aprile. Nintendo ha bisogno di più tempo e si riserva di “valutare il potenziale impatto delle tariffe e delle condizioni di mercato in evoluzione”.

“La data di lancio del 5 giugno 2025 – assicurano da Nintendo of America – non è cambiata”. Ma per quanto riguarda quella dei preorder “sarà comunicata in un secondo momento”. Riprendono perciò quota le voci di corridoio che, come anticipato, già paventavano un possibile aumento dei prezzi di Switch 2 rispetto all’annuncio comunicato la scorsa settimana da NoA: il listino confermato almeno al momento è di 449,99 dollari per l’edizione ‘liscia’, senza giochi inclusi, che sfiorano i 500 dollari se ci si aggiunge Mario Kart Tour.

 

Ma secondo alcuni analisti laddove la Casa di Kyoto non avesse previsto nel prezzo un margine utile ad assorbire le nuove tasse allora il prezzo finale potrebbe raggiungere e superare anche i 600 dollari. Un danno potenziale non di poco conto per Nintendo – dalla capitalizzazione di circa 12mila miliardi -, che storicamente ha negli Usa il principale mercato di approdo dei propri videogiochi. Non a caso ancora nelle ultime ore in Borsa il titolo ha perso oltre il 7 per cento.

NINTENDO PRESA IN CONTROPIEDE DA TRUMP?

Diversi analisti sostengono che il colosso nipponico si fosse premunito dal rischio dazi spostando parte della propria filiera dalla Cina, sicuro obiettivo dell’offensiva trumpiana, ad altri Paesi della regione asiatica. Il problema è che il nuovo inquilino della Casa Bianca ha varato dazi inaspettatamente aggressivi anche nei confronti di Vietnam e Cambogia, oggi al centro della filiera di costruzione di Switch 2.

E anche se fosse vero, come sostengono molti osservatori, che negli Usa Nintendo aveva già fatto approdare in tutta fretta almeno un milione di Switch 2 per evitare che fossero colpite dai temuti balzelli doganali, sarebbe altrettanto vero che un simile numero non riuscirebbe a soddisfare le richieste nei 50 Stati. Insomma, il rischio che i prezzi aumentino almeno negli States pare farsi sempre più concreto e il fatto che Nintendo per il momento abbia bloccato i preordini la dice lunga sull’incertezza generale creata dall’ingresso a gamba tesa di Donald Trump nel comparto videoludico. Del resto anche le Big Tech statunitensi come Apple sembrano esposte alla guerra dei dazi voluta dall’esponente repubblicano e rischiano di dover ritoccare verso l’alto i prezzi dei propri device.

L’ESA CONTRO I DAZI

Non a caso l’Entertainment Software Association, l’associazione che riunisce i creativi dell’industria statunitense, da tempo ripete che tali protezionismi rischiano di tramutarsi in boomerang per l’intero comparto e, soprattutto, per gli statunitensi: “Nel 2024 – avverte l’Esa – le vendite di videogiochi negli Stati Uniti hanno totalizzato 58,7 miliardi di dollari, di cui circa 5 miliardi spesi in hardware e console. Negli Stati Uniti, l’industria dei videogiochi sostiene direttamente e indirettamente oltre 350.000 posti di lavoro. Lo stipendio medio nel settore dei videogiochi è di 168.600 dollari, più del doppio dello stipendio medio nazionale. Nel 2023 l’industria dei videogiochi ha generato 14,4 miliardi di dollari in tasse federali, statali e locali”, viene puntualizzato.

Per questo, per l’Esa, la Casa Bianca dovrebbe soppesare le conseguenze dei dazi: “Le tariffe sui prodotti dei videogiochi colpiranno la maggior parte degli americani”. E, ancora: “L’imposizione di dazi sull’hardware e sul software per videogiochi danneggerà i consumatori americani e l’economia del Paese”. Proprio nelle ultime ore Aubrey Quinn, portavoce dell’Entertainment Software Association, raggiunta dalla testata di settore statunitense Ign, ha dichiarato: “Anche le aziende americane stanno ricevendo prodotti che devono oltrepassare i confini americani per realizzare le console, per realizzare i videogiochi. E quindi ci sarà un impatto reale indipendentemente dall’azienda. […] Ci sarà un impatto sull’intero settore”.

COME SI MUOVE L’ESA

Quinn ha poi detto che l’Associazione sta già facendo pressioni sulla politica: “Stiamo lavorando per creare connessioni e assicurarci che capiscano che siamo ansiosi di lavorare con loro per trovare soluzioni che riguardano conversazioni tra il settore pubblico e privato, così possiamo capire e assicurarci che vedano l’impatto e il rischio di impatto sulle aziende, sui consumatori e in realtà tutto ciò che sta accadendo all’interno dei confini degli Stati Uniti”.

Secondo i rappresentanti della categoria, insomma, c’è ancora margine per la trattativa, specie se si riuscirà a portare dalla propria parte un buon numero di esponenti repubblicani. Tuttavia bisogna anche considerare che, almeno finora, Trump si è rivelato sordo a ogni richiesta e indifferente a qualsiasi pressione, indipendentemente dall’attore e dal settore merceologico. Difficilmente il tycoon tornerà sui propri passi prima di aver ottenuto qualche grosso risultato in politica estera, anche a costo di nuove impennate inflazionistiche. E l’aumento dei prezzi di videogiochi e console sembrano solo l’inizio di una partita giocata sul filo del rasoio. E del game over.

 

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