Segnale di resa, almeno sul fronte musicale, di Apple. Cupertino, dopo la maxi multa comminata dalla Ue di circa 1,8 miliardi di euro, sembra infatti essersi rassegnata alla liberalizzazione in campo digitale introdotta dalla Ue con il proprio corpus normativo noto come Digital Market Act (da qui in poi, Dma).
SPOTIFY VINCE SU APPLE?
L’azienda fondata da Steve Jobs, oggi guidata da Tim Cook, ha deciso di permettere alle app di streaming musicale di terze parti di informare gli utenti su offerte al di fuori dell’App Store.
Come tutti gli utenti sanno bene, finora Apple ha sempre vietato agli sviluppatori che decidevano di sviluppare per i suoi device di segnalare agli utenti gli abbonamenti alternativi disponibili al di fuori del suo ecosistema, impedendo loro di includere collegamenti a siti web esterni dove i possessori di Mac e iPhone potessero effettuare acquisti.
Al contrario, per gli acquisti all’interno del proprio negozio virtuale Apple pretendeva poi dalle terze parti una percentuale sul transato, motivo scatenante della storica querelle con la svedese Spotify.
ORA CUPERTINO È IN REGOLA?
Si tratta di una novità che sembra mettere finalmente in regola Apple con il Dma comunitario anche se nelle settimane passate sono diverse le software house di particolare peso, tra cui la stessa Spotify, ad aver preso carta e penna per avvertire la Commissione uscente del rispetto “solo di facciata” delle nuove regole dal parte del “gatekeeper” statunitense.
“Apple, se non controllata, cercherà di aggirare e/o non rispettare la decisione della Commissione – uno stralcio della missiva che Spotify aveva indirizzato ai commissari europei lamentandosi di Apple. Visti i precedenti di Apple, Spotify teme che il ritardo di Apple sia intenzionale e finalizzato a ritardare o evitare del tutto la conformità”.
I SOSPETTI DELLA COMMISSIONE USCENTE
E nonostante il mandato della Commissione sia ormai agli sgoccioli, i commissari Thierry Breton e Margrethe Vestager, responsabili del Digital markets act, avevano promesso inchieste: annunciando in particolare di aver posto sotto la lente Meta e appunto Apple per comprendere se le loro nuove condotte si conformino pienamente allo spirito liberale della normativa.
CONCORRENZA UE, COS’È UN GATEKEEPER
Il contesto è chiaro: da pochi giorni è entrato in vigore per i cosiddetti gatekeeper l’obbligo di conformarsi al nuovo corpus normativo comunitario che di fatto equipara il mercato digitale a quello tradizionale, con regole ben precise per evitare sia falsato il gioco della concorrenza.
E sebbene la Ue abbia concetto oltre un anno di tempo ai giganti del Web per mettersi in regola, nei confronti di alcuni il legislatore comunitario serba il sospetto che abbiano usato quel periodo per escogitare sistemi utili ad aggirare le nuove norme.
Per essere considerata gatekeeper una piattaforma digitale deve: aver raggiunto un fatturato annuo nell’Unione europea di almeno 7,5 miliardi di euro o avere una capitalizzazione di mercato pari ad almeno 75 miliardi, avere almeno 45 milioni di utenti finali su base mensile e almeno 10 000 utenti commerciali stabiliti nell’UE, controllare uno o più servizi di piattaforma di base in almeno tre Stati membri.
I GATEKEEPER CHE DEVONO CAMBIARE CONDOTTA
Per il legislatore comunitario, infatti, causa delle loro dimensioni i gatekeeper godono di significativi vantaggi rispetto ai concorrenti di dimensioni minori e detengono una posizione dominante nel mercato digitale. Solo un numero estremamente limitato delle 10.000 piattaforme digitali esistenti nell’Ue può essere considerato gatekeeper ai sensi del regolamento sui mercati digitali, e la maggior parte di queste ha sede negli Stati Uniti.
La Commissione europea aveva designato sei gatekeeper che devono conformarsi ai nuovi obblighi entro il marzo 2024: Alphabet, Amazon, ByteDance, Meta, Microsoft e appunto Apple. Tra i nuovi obblighi in capo alle Big Tech la necessità di offrire maggiori possibilità di scelta ai propri utenti, per esempio in merito a un determinato software sul sistema operativo o sugli store digitali.