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Affitti Brevi Airbnb New York

Airbnb non accetta lo sfratto da New York

In Europa molte città hanno provato a contrastare gli imperi degli affitti brevi con alterne fortune. New York sembra essere riuscita a mettere alla porta Airbnb diventando anche in Italia il modello da seguire per i sindaci afflitti dal caro affitti. Ma forse tutto non si risolverà così velocemente...

Ostenta sicurezza il co-fondatore di Airbnb, Brian Chesky, che, in merito alla stretta decisa da New York sugli affitti brevi, fa sapere: “Penso che il problema purtroppo non si risolverà presto”, ha dichiarato alla televisione statunitense CNBC. La Grande Mela, ricorda il numero 1 del colosso delle locazioni turistiche “è stata la prima città in cui abbiamo dovuto accettare le sfide da parte delle autorità fin dal 2010, e forse saràl’ultima che vedrà risolverle”. E comunque Chesky, in merito ai possibili danni che la decisione di New York potrebbe causare ad Airbnb, rassicura: “Tredici anni fa rappresentava il 70-80% del nostro business. Ora è una percentuale molto piccola”.

NEW YORK CAPUT MUNDI

Difficile credergli, dal momento che, numeri alla mano, la sola Manhattan annualmente viene visitata da più di 60 milioni di turisti e, prima nella pandemia, nel 2019, ha raggiunto quota 65.2 milioni di visitatori.

Per avere una idea delle proporzioni, è come se ogni anno tutta la popolazione italiana (e anche qualcuno in più) si trasferisse in una città in cui abitano otto milioni di persone, con un giro d’affari per il terziario di oltre 50 miliardi di dollari. E una fetta di questo tesoretto viene reclamata appunto dalle piattaforme degli affitti brevi, spina nel fianco del mondo degli alberghi e, come vedremo, pure degli affittuari tradizionali.

LA LEGGE DI NEW YORK CHE NON PIACE AD AIRBNB

Da martedì 5 settembre è però entrata in vigore una legge comunale che, oltre a imporre la registrazione in un pubblico registro municipale, vincola la possibilità di locare in affitto breve solo gli appartamenti in cui i proprietari o gli affittuari risiedono in prima persona nell’alloggio e sono effettivamente presenti, con un massimo di due ospiti alla volta.

A carico di Airbnb, Vrbo e Booking.com, giusto per citare le piattaforme principali, l’onere di assicurarsi che chi mette a disposizione la propria casa abbia ottenuto la necessaria autorizzazione, pena per gli host multe che possono raggiungere anche i 5mila dollari in caso di recidiva e per le piattaforme fino a 1.500 dollari per transazioni su affitti fuori norma.

Regole molto stringenti che escludono quindi le famiglie dai clienti degli Airbnb e impongono, almeno sulla carta, alle coppie di dormire in case con estranei, case da cambiare per di più ogni 48 ore.

Questo in quanto le autorità locali intendono combattere i continui rialzi degli affitti dovuti alla carenza degli immobili (per i locatori è difatti più conveniente affittare ai turisti che non a inquilini tradizionali, anche perché in caso di morosità si rientra subito in possesso dell’immobile dato che i turisti hanno esigenza di tornare a casa loro).

PURE IN ITALIA SI LITIGA SUGLI AFFITTI BREVI

Una legge che ha messo in allarme pure i proprietari al di qua dell’oceano. “Quello che va subito messo in chiaro – ha detto Marco Celani, presidente Aigab, associazione italiana gestori affitti brevi – è che il numero delle case che a New York City sono messe a reddito con gli affitti brevi è davvero irrisorio ed irrilevante. Ad agosto 2023, infatti, il portale Inside Airbnb ha mappato circa 43mila annunci online a New York City, di cui il 42% sono camere in condivisione e il 56% case intere. Rispetto al totale delle case esistenti nella Grande Mela (che sono circa 7,8milioni), stiamo quindi parlando di un’incidenza dello 0,5% del totale annunci e dello 0,1% di quelli frequentemente e abitualmente affittate. Si tratta di dati che dimostrano in maniera evidente che la decisione di limitare gli affitti brevi è ingiustificata e risponde alla necessità di accontentare interessi particolari e non risponde ad un allarme reale”.

Per gli host, dunque, la municipalità della Grande Mela ha fatto un regalo alla lobby degli albergatori e ora si teme che pure i primi cittadini italici facciano altrettanto. Una preoccupazione nemmeno troppo campata in aria dato che una norma stile newyorkese viene chiesta – ad esempio – da Beppe Sala, sindaco di Milano che con New York condivide il medesimo problema.

Il sindaco, afflitto dagli affitti, dovendo dare una risposta agli studenti universitari che manifestano in tenda, la scorsa settimana senza mezzi termini ha detto che “Milano vorrebbe fare una cosa simile a quella di New York e cioè di lavorare sul numero di giornate e poi sul numero di appartamenti”.

“Adesso c’è il caso anche un po’ eclatante di New York, che però è un riferimento – ha spiegato -. Tra il bianco e il nero bisogna trovare il grigio giusto. Non si possono avere 20.000 appartamenti dedicati agli affitti brevi, la preoccupazione è che si colpisca il turismo ma il turismo in ogni caso sta crescendo. Quello che importa a noi è la gestione dell’offerta dei pacchetti”.

Sempre Sala ha precisato: “Non ce l’ho con il mio concittadino che ha un appartamento in più e lo affitta – ha affermato – ce l’ho con chi in questi anni ha fatto razzia e poi ha immesso gli appartamenti solo sul mercato degli affitti brevi”. “A Milano è successo, ci sono intere palazzine che hanno avuto quella destinazione”, ha sottolineato il primo cittadino, consapevole che circa 600 chilometri più a Sud, nella capitale, si dibatte appunto su come normare gli affitti brevi.

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