Dalla fallita conquista di Kiev nell’aprile 2022, il presidente Putin ha subito una sconfitta strategica: non è riuscito a sottomettere l’Ucraina, nonostante il sacrificio di centinaia di migliaia di giovani russi uccisi e feriti; ha fatto sprofondare la Federazione Russa in una crisi economica che ne sta minando la stabilità politica e soprattutto ne ha disonorato il prestigio internazionale, che nemmeno l’efficace propaganda del Cremlino potrà più restituirle. Dopo quasi quattro anni di feroci bombardamenti di città e infrastrutture civili, con la sua “Operazione Militare Speciale”, Mosca ha conquistato solo un instabile e relativo controllo territoriale di una parte del Donbass, che ora pretende gli venga concesso, in cambio della fine dei raid contro i civili.
A COSA AMBISCE IL PRESIDENTE PUTIN NEL 2026?
Lo scenario che il presidente Putin si è creato è principalmente psicologico: un regime che ha giustificato il suo modello autoritario promettendo di ripristinare il “Russkij Mir” (Mondo Russo) – un concetto e una dottrina politica che definiscono la sfera di influenza militare, politica e culturale cui ambisce. Un’ideologia di comunità e civiltà che combatte l’“Occidente-satana” che vorrebbe distruggere questa entità – il Russkij mir, appunto – i cui membri «non sono solo i cittadini di etnia russa (russkie) o di cittadinanza russa (rossijane), non sono soltanto tutti i nostri connazionali nei Paesi dell’estero vicino o lontano, gli emigrati, i fuoriusciti dalla Russia e i loro discendenti. Ci sono anche i cittadini stranieri che parlano russo, lo studiano o lo insegnano e tutti coloro che si interessano sinceramente della Russia e che si preoccupano del suo futuro». Quindi anche ucraini e bielorussi, che devono essere protetti dal globalismo liberale: l’Occidente, cioè l’Anticristo. In questa definizione, inquietante nella sua chiarezza ostentatamente espansionista, oltre alle evidenti ambizioni imperialiste, va sottolineata anche la raggelante minaccia globale, con la quale si annettono al «mondo russo» anche tutti i cittadini stranieri sopra indicati, protetti a loro insaputa dall’esercito russo dall’Occidente-satana. Un’estensione di cui è difficile non cogliere il carattere potenzialmente totalitario, distopico e privo di qualsiasi riferimento storico e geopolitico. Definizione del concetto ideologico Russkij mir, ufficialmente integrato dal presidente Putin nella strategia di politica estera della Federazione Russa, e dopo le ripetute esternazioni del patriarca Kirill che l’ha inserito nella dottrina ufficiale della Chiesa ortodossa russa, messo in pratica nella maniera più brutale con la guerra di invasione contro l’Ucraina.
Concetto irrealistico del mondo russo che attraverso la propaganda interna ed estera elimina ogni criterio oggettivo per superare o comporre le esistenti divisioni tra Russia e Occidente, finisce per lasciare al presidente Putin come unico strumento d’azione l’uso della forza, allontanando definitivamente la ricerca di qualsiasi accordo di pace.
La Russia deve dimostrare ai suoi cittadini stretti nella morsa della guerra, all’Occidente e al suo ingombrante alleato cinese, di mantenere l’iniziativa e di rimanere una grande potenza, ma:
L’ECONOMIA RUSSA È IN PROFONDA CRISI
Sebbene l’effettiva situazione economica della Russia è mantenuta segreta, Mosca ha già utilizzato più del 50% del suo fondo sovrano e la spesa militare ufficiale nel 2025 è stimata in 15,5 trilioni di rubli, quintuplicata dal 2021. I dati ufficiali non tengono conto dei costi aggiuntivi legati al mantenimento dei territori ucraini occupati, del supporto alle regioni di confine, delle conseguenze economiche delle infrastrutture petrolifere sotto attacco, dei pagamenti di indennizzo alle truppe e alle loro famiglie.
Le vendite di materie prime energetiche, che rappresentano il 50% di quelle statali, si sono drasticamente ridotte, nonostante gli acquisti di Cina, India e di tutti quei Paesi, anche europei, che bypassano le sanzioni. Proprio a causa della guerra, i ricavi russi da petrolio e gas sono diminuiti del 30% su base annua a novembre 2025, impattando sul reale onere bellico che in questo scenario si assesta intorno al 10% del PIL, un livello prossimo alla spesa che negli anni ’80 veniva sostenuta da tutta l’Unione Sovietica.
LE OPERAZIONI MILITARI CONVENZIONALI SONO DIVENTATE INSOSTENIBILI NEL TEMPO
La Russia sta spendendo miliardi e accettando un insostenibile numero di soldati uccisi per effettuare “avanzate” di pochi metri al giorno in aree come Kharkiv. Negli ultimi due anni sanguinosa invasione, ha conquistato poco più del 2% di territorio ucraino. Con una stima di 1,4 milioni di mezzi distrutti dall’esercito ucraino, la Russia sta esaurendo le sue riserve di equipaggiamento di epoca sovietica. Agli attuali tassi di abbandono, l’equipaggiamento recuperabile si esaurirà entro la fine del 2026 o l’inizio del 2027. Né le forniture militari provenienti da Corea del Nord e Cina possono colmare le crescenti lacune in equipaggiamento e munizioni. Mosca dovrà istituire una linea di produzione decennale per dotarsi di almeno 2600 carri armati per sostituire i 4000 distrutti in guerra.
Con la rapida riduzione delle dotazioni militari convenzionali e l’aumento della capacità industriale dell’Occidente, la guerra ibrida diventa non solo conveniente, ma necessaria: l’unico vero strumento di Mosca per imporre costi e mantenere l’illusione di capacità offensiva.
Ma nonostante questi segnali, l’Europa entra nel 2026 con il potenziale di una determinazione indebolita nel dissuadere specifiche attività ibride. Politicamente, i partiti di estrema destra e alcuni di estrema sinistra con simpatie filorusse e quelle trumpiane che contrastano l’UE, sono in testa ai sondaggi in un anno di importanti elezioni nel continente. Economicamente, i governi dell’UE sono stati frenati da una crescita lenta, un’inflazione elevata e incertezze nell’approvvigionamento energetico. Militarmente, molti sono solo all’inizio dei loro cicli di riarmo. Tutto ciò, insieme, limita la loro capacità di adottare una condivisa risposta ibrida decisa, rafforzando la convinzione del Cremlino che queste tattiche possano avere successo nell’anno a venire.
MOSCA NON VUOLE LA PACE MA LA RESA DI KYIV
Dall’altra sponda dell’oceano, sin dal primo giorno del suo storico ritorno alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha dichiarato che avrebbe imposto, in una settimana, un accordo di pace a Kiev e ai governi europei. E se l’Ucraina e i suoi alleati europei non avrebbero accettato il suo “piano di pace”, gli Stati Uniti avrebbero ritirato il loro sostegno, cosa che hanno fatto, permettendo a Mosca di consolidare alcune conquiste territoriali e creando una faglia politica in seno all’Alleanza Atlantica.
Il tentativo di imporre una resa strategica a Kyiv è ancora in corso, mentre il Cremlino intensifica i bombardamenti in Ucraina e la guerra ibrida nel vecchio continente. Tuttavia, questa strategia si è arenata proprio grazie alla tanto bistrattata Europa. Invece che cedere alle richieste di Mosca, le posizioni ucraine ed europee si sono ulteriormente saldate e hanno mantenuto fermi alcuni principi insormontabili. Le proposte del piano di pace TrumPutiniano e la guerra psicologica non hanno diviso la “Coalizione dei Volenterosi”. Anzi, si è consolidata. Persino la pubblicazione della Strategia per la Sicurezza Nazionale USA 2025, con la sua retorica contro l’Unione Europea, ha rinforzato l’impegno degli alleati Nato nei confronti di Kyiv e indirettamente anche dell’Amministrazione Trump. Infatti, nonostante la Casa Bianca non fornisca più sostegno militare all’Ucraina, attraverso la promessa di spesa del 5% dell’Aja, le capitali europee hanno rafforzato gli investimenti collettivi e la determinazione ad aumentare le proprie capacità militari per fronteggiare la minaccia russa, attraverso l’acquisto di sistemi d’arma dagli Stati Uniti. Inoltre, l’UE, che il presidente Putin spera di dividere e destrutturare, ha stanziato ulteriori 90 miliardi in difesa dell’Ucraina.
Il presidente Trump ha offerto al suo omologo russo una via d’uscita dalla guerra: una resa strategica dell’Ucraina e dell’Europa, una partnership economica e la rilegittimazione politica. L’Amministrazione Trump sostiene Putin anche perché vuole aiutare la Russia a mantenere il controllo dell’Estremo Oriente, senza che cada nelle mani della Cina, essa stessa vittima dell’espansione imperiale russa nel XIX secolo, quando perse vasti territori in quello che la storiografia cinese chiama il “Secolo dell’Umiliazione”.
Non è un segreto che da qualche tempo i media cinesi discutono apertamente di scenari di crollo della Russia. Il 14 dicembre 2025, NetEase Media (una delle più grandi piattaforme mediatiche cinesi) ha pubblicato un testo con il titolo: “Se la Russia crolla, non si possono perdere 7 milioni di chilometri quadrati”. Mentre la propaganda del Cremlino parla della “grande amicizia tra i due popoli”, i media cinesi discutono apertamente su come annettere senza alcuna azione militare un terzo del territorio russo, “quando il panorama politico cambierà.” L’annessione russa dell’Amur del 1858-1860, più il resto della costa Pacifica fino all’Artico, è una delle grandi ambizioni di Pechino. Dal punto di vista del presidente Xi, “riportare” in patria lo storicamente conteso Estremo Oriente russo, sarebbe importante dal punto di vista politico e strategico quanto “riportare” Taiwan, con molte maggiori possibilità di successo e senza scatenare una vera guerra su larga scala nel Sud-est asiatico, con potenziali inestimabili danni e perdite.
Nonostante questi scenari, il presidente Putin rifiuta di fermare la sua guerra di aggressione accettando l’accordo di pace rivisto con l’UE, di 20 punti con le garanzie di sicurezza per Kyiv. Il Cremlino non vuole la pace, ma la resa dell’Ucraina.
Il presidente Putin non può riconoscere la sconfitta strategica senza rischiare il collasso politico. Plasmato dalla sua cultura del KGB e rifiutata la caduta dell’Unione Sovietica, qualsiasi accordo di pace che possa essere percepito in modo diverso dalla “vittoria” completa, non è più un’opzione politica a sua disposizione. Un accordo senza la capitolazione di Kyiv delegittimerebbe l’intero regime. Pertanto, l’escalation non è solo una scelta, ma una necessità.
IL 2026 SARÀ L’ANNO DELL’ESCALATION IBRIDA RUSSA
Una potenza in declino è spesso più pericolosa di una in ascesa. Di fronte a una spirale economica e a forze convenzionali in esaurimento, il presidente Vladimir Putin sta entrando in un contesto di massimo pericolo. L’Europa deve essere pronta ad affrontare scenari distopici, ma possibili: non solo a quello con una Russia in ripresa, ma anche a uno con Mosca disperata.
Con le operazioni militari convenzionali divenute sempre più economicamente insostenibili, la guerra ibrida, meno costosa e condotta da un numero altamente inferiore di risorse umane, diventa l’unico strumento di escalation accessibile alla Russia. La debolezza economica del Cremlino in ambito militare convenzionale lo costringe a ricorrere maggiormente a tattiche ibride in sostituzione delle capacità militari che non possiede più. Un’escalation che è già visibile in tutti i domini: cibernetico, aerospaziale, marittimo, terrestre e soprattutto cognitivo.
La Russia sta conducendo una guerra non convenzionale contro l’Europa. Attraverso la sua campagna di sabotaggi, vandalismo, spionaggio e azioni segrete, l’obiettivo della Russia è quello di destabilizzare i governi europei, minare il sostegno pubblico all’Ucraina imponendo costi sociali ed economici all’Europa e indebolire la capacità collettiva della Nato e dell’Unione Europea di rispondere all’aggressione russa. Questa guerra non convenzionale ha iniziato a intensificarsi nel 2022 parallelamente all’invasione russa dell’Ucraina. Sebbene la Russia non sia finora riuscita a raggiungere il suo obiettivo primario, le capitali europee hanno faticato a rispondere alle operazioni di sabotaggio e hanno trovato difficile concordare una risposta unitaria, coordinare le azioni, sviluppare misure di deterrenza efficaci, attribuire e imporre costi di ritorsione al Cremlino.
L’Europa è stata lenta a costruire una deterrenza ibrida credibile, una capacità che solo ora sta riconoscendo, nonostante i distinguo politici, le recenti dichiarazioni dell’Ammiraglio Cavo Dragone hanno evidenziato il divario tra resilienza e capacità di stabilire soglie chiare per prevenire, contrastare ed eventualmente reagire ai sempre più frequenti e pericolosi attacchi in “zona grigia”: episodi di sabotaggio, attacchi informatici e operazioni di informazione e guerra cognitiva sono ancora trattati come crimini isolati, piuttosto che come elementi di una dottrina politico-militare ibrida russa e/o cinese ben consolidata. La Nato si sta finalmente muovendo, delineando cambiamenti nella propria strategia e le capacità d’azione del presidente Putin potrebbero presto ridursi.
PER QUESTI MOTIVI, NEL 2026 L’ESCALATION DELLA GUERRA IBRIDA RUSSA SI MANIFESTERÀ PRINCIPALMENTE ATTRAVERSO 4 FORME SPECIFICHE:
- Il Confronto informativo (Information Confrontation), termine usato nei circoli strategici e militari russi per descrivere il loro approccio all’uso delle informazioni, sia in tempo di pace che in conflitto. Il Cremlino effettuerà operazioni di influenza maligna, disinformazione, guerra psicologica coerenti con la nuova formulazione strategica della Russia. L’ecosistema informativo russo è composto da diversi pilastri che rispondono direttamente alle tre Agenzie di intelligence principali: il Servizio di Sicurezza Federale (FSB), che si occupa di sicurezza interna e controspionaggio; il Servizio di Intelligence Estera (SVR), responsabile dello spionaggio all’estero; e la Direzione principale delle informazioni (GRU), il Servizio di intelligence militare. Attraverso un approccio ecosistemico mirano a influenzare l’opinione pubblica e destabilizzare la società, impiegando tecniche idonee a sostenere il conflitto che il Cremlino mantiene costantemente attivo, a prescindere dallo stato delle relazioni con il nemico, contro le democrazie occidentali, con l’obiettivo generale di indebolire la coesione internazionale tra gli Stati Uniti e l’Europa, dei loro alleati e partner commerciali, e di attaccare gli avversari percepiti dalla Russia.
- La coercizione con l’aumento di dimostrazioni militari convenzionali, che diventeranno più minacciose. Violazioni sempre più aggressive dello spazio aereo e navale di Paesi membri della Nato, come quelli effettuati quest’anno in Polonia, nei Paesi baltici e nel Golfo di Finlandia. Inoltre, l’incremento della guerra psicologica creata attraverso la retorica nucleare per mettere sotto pressione i cittadini e le istituzioni europee. Il messaggio trasmesso da Mosca: sostenere l’Ucraina rischia un’escalation diretta con la Russia, quindi interferire con il piano di pace TrumPutiniano, oltre a essere costoso, è rischioso.
- Il sabotaggio prenderà di mira l’infrastruttura produttiva europea in espansione per la difesa e le catene di approvvigionamento dirette in Ucraina. Con l’aumento delle fabbriche di munizioni continentali e la maggiore visibilità delle reti logistiche, queste diventano obiettivi primari, come descritto nel report dell’IISS di Londra “The Scale of Russian Sabotage Operations Against Europe’s Critical Infrastructure”. Sono facilmente prevedibili attacchi progettati per ritardare le consegne di armi, aumentare i costi della sicurezza e della deterrenza per costringere i governi europei a dirottare le risorse dal sostegno all’Ucraina alla protezione interna.
- La sovversione, in particolare la guerra dell’informazione si intensificherà drasticamente durante le prossime elezioni europee, iniziando da quelle in Ungheria all’inizio del 2026, estendendo l’ingerenza nelle elezioni di medio termine negli Stati Uniti. I partiti populisti filorussi di estrema destra, che si ispirano anche alle politiche MAGA dell’Amministrazione Trump, godono già di sondaggi in crescita in alcune importanti nazioni europee. Ogni punto percentuale e ogni messaggio politico amplificato a loro vantaggio offre alla Russia la speranza di indebolire le sanzioni e la determinazione politica dei governi europei.
LA DETERRENZA IBRIDA DELL’EUROPA
La strategia adottata dall’Occidente – armare l’Ucraina, imporre sanzioni, rafforzare le infrastrutture critiche, non cedere alle pressioni dell’Amministrazione Trump su un accordo di pace al costo della capitolazione di Kyiv – sta incrinando la coesione militare, economica e politica della Russia. Anche se dolorosamente lenta, e con l’Ucraina che sta pagando un terribile costo umano.
Tuttavia, proprio per la postura assunta da Washington, bisogna incrementare, perfino raddoppiare, l’attuale sostegno all’Ucraina. L’Europa deve dare seguito al suo recente annuncio di voler stabilire una deterrenza credibile contro la guerra ibrida, altrimenti dovrà assistere al tentativo del presidente Putin di frantumare l’unità occidentale. L’approccio attuale – trattare ogni incidente come isolato – sta creando fragilità sistemiche che Mosca sta sfruttando e preparando ad attaccare senza temere di pagare alcun prezzo.
Il presidente Putin scommette che l’Europa non abbia la determinazione necessaria per imporre costi significativi contro chi sferra attacchi ibridi al di sotto della soglia dell’Articolo 5. La scorsa estate Mosca ha effettuato delle prove con attacchi nella “zona grigia”, dimostrando che la sua strategia funziona: nessuna entità russa ha dovuto affrontare conseguenze per le misteriose esplosioni nelle fabbriche di armi, per il tranciamento dei cavi nel Baltico, per gli attacchi hacker o per la presenza di droni negli aeroporti o per la campagna di incendi sospetti in diversi territori dell’Unione Europea.
In questi giorni, alcuni analisti americani intervistati da Reuters hanno confermato i contenuti di un dossier della CIA secondo il quale: “Putin vuole annettere tutta l’Ucraina e i Paesi Baltici entro il 2027”. Analisi che smentiscono la visione della Casa Bianca sulla minaccia russa riportata nella Strategia per la sicurezza nazionale. Secondo gli analisti, Mosca non solo non vuole porre fine al conflitto, ma mira a riprendere tutta l’Ucraina e i Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), riportandoli sotto il controllo del Cremlino. “L’intelligence statunitense, fino al ritorno del presidente Trump alla Casa Bianca, ha sempre pensato che Putin volesse di più”, ha dichiarato Mike Quigley, membro democratico della Commissione Intelligence della Camera, in un’intervista alla Reuters. “Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I Paesi baltici pensano di essere i prossimi”. In questo contesto, l’Estonia, anche per ragioni di confine, vive questa minaccia dal febbraio 2022, quando le truppe russe sono entrate in Ucraina. Minaccia che ha recentemente portato Vilnius a preparare e comunicare ai propri cittadini piani di evacuazione della capitale in caso di invasione.
La Russia è pronta all’escalation di attacchi nello spazio geopolitico tra pace e guerra in cui attori statali o non statali svolgono attività per promuovere gli interessi nazionali russi e indebolire l’Europa senza innescare una risposta militare. Le attività nella zona grigia baltica ed europea si moltiplicheranno e possono anche creare le condizioni per plasmare il contesto strategico per una guerra futura, rimanendo al di sotto della soglia che provocherebbe una risposta militare immediata da parte della Nato.
Per dimostrare al Cremlino che questa strategia non sia conveniente, non richiede di eguagliare la forza convenzionale della Russia: richiede chiarezza su ciò che l’Europa e la Nato non tollereranno.
Il 2026 rivelerà se l’Europa ha compreso che la Strategia per la Sicurezza Nazionale dell’Amministrazione Trump ha determinato una nuova realtà: la solitudine strategica globale come nuovo fattore nella politica internazionale, con gli Stati Uniti divenuti un rischio strategico. Oppure, se con la guerra ibrida il presidente Putin realizzerà le ambizioni imperialiste che non è riuscito a concretizzare con l’invasione militare dell’Ucraina.







