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Di Maio Salvini

Vi racconto sorprese e bizzarrie del governo in cantiere di Salvini e Di Maio

I Graffi di Damato su metodi e meriti della trattativa in corso fra Salvini e Di Maio per il governo giallo-verde in cantiere fra Lega e Movimento 5 Stelle Si sprecano ormai, in Italia ma anche all’estero, le definizioni del governo grilloleghista, o gialloverde, che sembra ormai destinato a nascere a Roma più per inerzia…

Si sprecano ormai, in Italia ma anche all’estero, le definizioni del governo grilloleghista, o gialloverde, che sembra ormai destinato a nascere a Roma più per inerzia o stanchezza che per convinzione di chi lo sta ancora negoziando e di chi al Quirinale lo dovrà pur nominare, essendo il presidente della Repubblica e toccando appunto a lui, per l’articolo 92 della Costituzione, il compito di firmare i relativi decreti.

“Paradossale” ha appena definito questo governo il presidente francese Emmanuel Macron, dopo avere parlato al vertice europeo col presidente italiano e uscente del Consiglio, Paolo Gentiloni, dei partiti che ne comporranno la maggioranza in Parlamento.

Ma la definizione più appropriata, e più in linea anche con quella “del cambiamento” attribuitole dai negoziatori nel titolo del contratto in via di perfezionamento, almeno nel momento in cui scrivo, e perciò salvo sorprese, appartiene all’ex guardasigilli e presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick.

Ma anche la sponsorizzazione, per alcune settimane, del fantasioso fondatore del Foglio Giuliano Ferrara come presidente di una compagine ministeriale comprensiva del movimento di Beppe Grillo: una sponsorizzazione che forse gli ha più nuociuto che giovato, vista l’opinione che Giulianone ha dei pentastellati, ben al di là dei “nuovi barbari” intravisti nella redazione del Financial Times.

Flick, grandissimo avvocato che, prima di diventarne ministro della Giustizia, aveva aiutato Romano Prodi a sfuggire, come presidente dell’Iri, alle tenaglie della Procura di Milano nelle indagini sul finanziamento illegale dei partiti, ha visto nel processo di nascita del nuovo governo un processo di “decostituzionalizzazione”.

In effetti tutto sta avvenendo non dico contro la Costituzione repubblicana in vigore in Italia dal 1948, cioè da 70 anni, perché in tal caso dovrei unirmi agli attacchi di Ferrara a Sergio Mattarella, ma sicuramente al di fuori di essa. O almeno al di fuori dei criteri e delle procedure con cui le norme costituzionali sono state applicate nella formazione degli oltre sessanta governi succedutisi dal 1948. Il “cambiamento” gridato nel titolo del “contratto” grilloleghista c’è stato almeno su questo piano.

Due leader di partito che si incaricano da soli di tentare la soluzione di una crisi di governo, senza esserne stati investiti dal capo dello Stato, non si erano mai visti. Che negoziano un programma, o un contratto, mettendo in coda al loro lavoro il problema di trovare un presidente del Consiglio da indicare o proporre, come volete, al presidente della Repubblica, neppure si era mai visto. Eravamo stati abituati a presidenti incaricati dal capo dello Stato che si riservavano di accettare, conducevano trattative con i partiti sul programma, scioglievano la riserva alla conclusione positiva del loro lavoro e venivano formalmente e finalmente nominati, e con loro anche i ministri che proponevano al presidente della Repubblica.

Un presidente del Consiglio che, a dispetto del dovere e diritto assegnatogli dall’articolo 95 della Costituzione di “dirigere la politica generale del Governo”, con la maiuscola, e di esserne “responsabile” davanti al Parlamento che gli accorda la fiducia, accetta di essere in qualche modo sottoposto al controllo di un “Comitato di conciliazione” in caso di controversie, non si era visto in 70 anni di Costituzione repubblicana. Al massimo – ma proprio al massimo – si era arrivati durante la cosiddetta prima Repubblica al Consiglio di Gabinetto o alla proposta di Ugo La Malfa di costringere i segretari dei partiti della maggioranza a entrare nel governo per costituirne un “direttorio”.

Tutto questo scrivo per attenermi agli aspetti istituzionali del governo che sta nascendo, ripeto, ormai più per forza d’inerzia o stanchezza che per convinzione dei gestanti, senza entrare quindi negli aspetti politici, o programmatici, come si diceva una volta. A proposito dei quali voglio essere tanto ottimista da attribuire alla troppo giovane età dei negoziatori o gestanti, e quindi alla loro scarsa conoscenza della storia della nostra Repubblica, la stretta giustizialista che hanno concordato in tema, per esempio, di prescrizione proprio nel trentesimo anniversario della morte di Enzo Tortora: il popolare e arciliberale conduttore televisivo sbattuto in galera da innocente con l’accusa di camorra, sostenuta col solito apporto dei soliti pentiti, e destinato ad uscirne solo per i pochi anni che lo speravano dalla morte per un tumore seguito sicuramente alle sue sofferenze fisiche e psichiche. Ma che ne sanno di Tortora i baldanzosi protagonisti del “cambiamento” 2 punto 18? Niente.

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