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Ungheria Polonia Von Der Leyen

Tutti i subbugli sul Recovery Fund

Il post di Alessandra Servidori sul Recovery Fund

 

Della trattativa sul Fondo sapremo tutta la verità a cose fatte e dopo l’ultimo passaggio istituzionale cioè al Parlamento Ue, contestualmente con l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27 al quale è collegato anche e soprattutto il Recovery Fund.

Ma quello che abbiamo letto sul giornali è una minima parte dell’accaduto in quelle ore frenetiche dove l’Italia ne è uscita con un bel malloppo.

È importante sapere che il versamento delle prime tranche di fondi, inizierà proprio con l’entrata in vigore del nuovo bilancio settennale dell’Ue, con il 70% dei trasferimenti nel 2021 e nel 2022, il restante 30% entro la fine del 2023. E in questo lasso di tempo sarà il Comitato economico e finanziario dell’Ue a vigilare sul rispetto del mandato in base ai principi stabiliti dall’accordo e dalle proposte di riforma approvate in sede di Consiglio. Se uno dei Paesi sgarrerà rispetto alle regole pattuite, il presidente del Consiglio Ue farà finire sul tavolo dei 27 la questione e cioè si metterà il tanto discusso “super freno di emergenza” richiesto dall’Olanda e dagli altri paesi cosiddetti frugali.

Per le risorse da stanziare nel 2023, saranno tenuti in considerazione alcuni fattori determinanti e diversi rispetto a quelli relativi alla prima tranche di fondi, come ad esempio, la disoccupazione, criticata dai frugali perché ritenuta legata a problemi antecedenti alla pandemia, sostituita nell’ultima trance dalla perdita cumulata del Pil registrata nel 2020-21, che sarà calcolata entro il 30 giugno 2022.

Il Fondo della ripresa verrà alimentato direttamente dai mercati tramite le emissioni di obbligazioni da parte della Commissione europea. Ciò significa che i commissari Ue potranno esercitare nuovi poteri di finanziamento che, fino ad ora, erano stati affidati solo alla Banca europea degli investimenti e al Mes.

Per la prima volta i Ventisette hanno dato mandato alla Commissione europea di indebitarsi a loro nome per una somma ingente, e il nuovo debito in comune dovrebbe indurre gli Stati membri a creare nuove tasse europee in vista del suo rimborso, anche se i titoli avranno scadenze diverse. Tuttavia, l’impegno è di rimborsarli entro il 2058 e non prima del 2028.

L’Italia è riuscita a strappare più di 81,4 miliardi di euro di sussidi e più di 127,4 miliardi di prestiti, per una cifra totale che si attesta intorno ai 209 miliardi. Il tutto ci imporrà comunque delle forme di governance economica sicuramente più intrusive circa la gestione delle risorse messe a disposizione.

Si comprende perché in questi giorni sono incalzanti le proposte sui contenuti che l’Italia deve rappresentare al grande Ngeu (Next Generation Eu). Queste devono necessariamente attivare la crescita e generare i giusti incentivi per il sistema delle imprese fondamentale per il rilancio dello sviluppo.

Sappiamo bene che siamo tra i paesi più colpiti dall’onda del Covid-19, e saremo quello che beneficerà del pacchetto di risorse più corposo per far fronte alle difficoltà economiche e sociali che si affacciano all’orizzonte.

A seguire la Spagna di Sanchez, con un totale di 140,4 miliardi, divisi tra 77,3 miliardi di aiuti e 63,1 miliardi di prestiti; poi la Francia con 38 miliardi di sovvenzioni e nessun prestito. Una quota importante arriverà anche a beneficio della Polonia, con 37,7 miliardi a titolo di stanziamento e 26,1 miliardi sotto forma di loans e a sostegno dell’economia ellenica, con 22,6 miliardi di grants e 9,4 miliardi come prestiti.

Anche i paesi frugali avranno cospicui benefici: sono previsti aiuti a fondo perduto alla Danimarca, cui andranno 2,156 miliardi, all’Olanda 6,751, alla Finlandia 3,460 e all’Austria 4,043. In questo modo i paesi del nord Europa hanno strappato anche un altro importante risultato al tavolo delle trattative: più di 26 miliardi di euro per i prossimi anni, una quota più alta di circa 7,8 miliardi rispetto a quella precedente. Stiamo parlando dei “rebates”, gli sconti ai contributi che i quattro Paesi (Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca, insieme alla Germania) versano come tutti gli altri partner, al bilancio dell’Unione europea nel prossimo quadro finanziario 2021-2027. I due leader più intransigenti, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz e il primo ministro olandese Mark Rutte, nelle ultime fasi delle trattative sono riusciti nell’intento di strappare un trattamento particolare da Bruxelles.

Molti sono stati gli interrogativi e le rivendicazioni degli Stati mediterranei circa la legittimità di questi sconti, tanto che si era addirittura ipotizzata una possibile soppressione di quello che molti ritengono essere un inopportuno privilegio. Proprio i rebates sono stati infatti un argomento dirimente nel negoziato sul Recovery Fund. Sull’approvazione del piano di emergenza per salvare le sorti dell’Europa intera, l’asse del nord ha avuto un atteggiamento rigido nei confronti dei partner più in difficoltà, e si è registrato un forte tensione volta a ridurre la portata degli aiuti e rendere invece più ingenti i vantaggi per sé stessi. Prendendo in considerazione ad esempio il caso danese, del suo contributo al budget Ue, la Danimarca riceverà indietro 322 milioni di euro l’anno, mentre col regime precedente l’ammontare dello sconto valeva appena 197 milioni. Così dicasi per la Svezia che ha ottenuto uno sconto annuale molto aumentato passando da 798 milioni a 1,06 miliardi.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha giustamente commentato che a Bruxelles è stato compiuto un grande e ottimo lavoro. Non c’è stata una vera mutualizzazione del debito pregresso ma un passo avanti in senso solidaristico rispetto ai fondi che serviranno per la ricostruzione.

In un contesto internazionale assai instabile e imprevedibile, dinanzi ad un quadro economico tutto da reinventare, la nuova Europa che potrà rinascere grazie agli effetti del Recovery Fund, potrebbe avere un ruolo importante sullo scacchiere politico ed economico globale.

Per noi, i fondi che arriveranno nei prossimi tre anni sono un’occasione da non sprecare, perché è l’ultima per mettere mano a riforme importanti e per ricostruire il tessuto delle infrastrutture strategiche. Le critiche furibonde sono gradite se accompagnate da proposte intelligenti e soprattutto se il governo saprà valorizzarle senza la solita presunzione di completezza e dispersione pre/elettorale.

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