Quando ho visto la notizia su Youtube non credevo ai miei occhi. Ho pensato subito ad una fake news. Così prima di scrivere mi sono accertato che le cose corrispondessero al vero. Mi riferisco ad una lettera che Barbara Palombelli ha indirizzato a Papa Francesco e al Pd per spiegare loro di non capire questo Paese. ‘’Quello che non hanno capito è che gli italiani, soprattutto i più giovani, vogliono riscoprire –scrive Palombelli – “l’identità”, il tasto su cui battono Salvini e Giorgia Meloni. Anche quella religiosa. Papa Francesco mobilita tutti contro il leghista, “ma non funziona più così – spiega ancora la conduttrice -, una cosa è l’identità, e dunque il santo in processione, altra cosa è il potere cattolico”. E il Pd? “Incredibile come il politicamente corretto abbia ridicolizzato le paure delle moltitudini, tutto un insistere sullo stesso mantra – la pancia degli italiani ci fa schifo – io, di mio, sono appassionata dell’ accoglienza, ma ne ho altrettanta per la legalità’’.
Già la legalità. E’ questo il tema che affronterò in questo articolo. Ma prima voglio richiamare un altro brano della lettera che a mio avviso merita qualche osservazione. ‘’Due cose chiedevano gli italiani – precisa Palombelli -, “e su quelle due cose sono stati accontentati: il 95% degli italiani voleva un freno all’immigrazione clandestina, un altro 95% chiedeva un aiuto per i poveri, mi meraviglia che la sinistra non abbia votato a favore del reddito di cittadinanza”. Ma davvero l’immigrazione clandestina è un’emergenza reale? E va combattuta contro le ONG, senza badare se, mentre Salvini blocca una nave, fosse anche della Marina Militare, gli scafisti scaricano, incontrastati, sulle nostre spiagge, centinaia di profughi? Quanto al reddito di cittadinanza, non si è accorta la conduttrice di quanto ha affermato, in proposito, Massimo Garavaglia, vice ministro del governo giallo-verde?
Ma torniamo all’amore per la legalità che appassiona la giornalista, al pari dell’accoglienza. Comincerò ricordando un film, uno di quelli belli di una volta, con un grande regista, grandi attori, grandi storie (non le nevrosi e il qualunquismo degli italiani di oggi). Mi riferisco a ‘’Vincitori e vinti’’ (titolo originale: Judgment at Nuremberg) diretto e prodotto nel 1961 da Stanley Kramer, interpretato, tra gli altri, da Burt Lancaster, Marlene Dietrich, Spencer Tracy. La vicenda si svolge nell’ambito dei processi di Norimberga ai criminali nazisti. Ma il clima politico stava cambiando nel rapporto tra gli alleati ed era in via di esaurimento la spinta propulsiva che aveva animato quella fase. Un giudice americano (peraltro non rieletto nel suo distretto) interpretato da Spencer Tracy, viene incaricato di presiedere una corte chiamata a giudicare alcuni criminali tra cui un alto magistrato tedesco (Burt Lancaster) e giurista di prestigio internazionale, reo di aver applicato le leggi razziali. Diversamente dagli altri imputati, il magistrato si interroga sul proprio operato e rifiuta di difendersi. E tanti tedeschi, tra cui una signora interpretata dalla Dietrich, fanno pressioni sul presidente americano perché non condanni il giurista, sostenendo che la Germania ha bisogno di persone come lui per poter risorgere. Il presidente capisce il problema, avverte la qualità dell’imputato, ne apprezza la condotta processuale. Ma alla fine (sia pure con il voto contrario di un componente del collegio) pronuncia una sentenza di condanna. Prima che il giudice ritorni in patria ha luogo un incontro con l’alto magistrato, il quale gli pone la questione della legalità e gli chiede come può un giudice accorgersi di sbagliare quando sentenzia in conformità alle leggi vigenti. La risposta del presidente è lapidaria: ‘’Quando sente in coscienza di aver condannato un innocente’’. In questo approccio l’innocenza non è un concetto tecnico giuridico, ma sostanziale. Il giudice non commette un errore giudiziario se assolve una persona che è vittima di una legge iniqua e se avverte che il suo comportamento è esente da colpe.
Perché ho voluto raccontare questa storia (il film, rigorosamente in bianco e nero, dura più di tre ore)? Perché la ‘’legalità’’ non ci azzecca (direbbe Antonio Di Pietro) con la ‘’giustizia’’. E’ troppo facile imporre delle leggi inique e definire ‘’legalità’’ la loro applicazione. I decreti sicurezza – è vero – sono stati votati da un Parlamento, ma violano, per quanto riguarda l’immigrazione, le consuetudini (che sono una fonte primaria del diritto internazionale) e le leggi del mare; si fanno beffa dell’articolo 10 della Costituzione. Ma, ancor prima, ignorano i principi del diritto naturale e della pietas umana.
Certo, si potrebbe rispondere, che ci sono delle istituzione preposte a valutare la corrispondenza o meno delle leggi agli ordinamenti costituzionali e ai trattati internazionali. Ma dove sta, secondo Barbara Palombelli, il rispetto della legalità da parte di Matteo Salvini? Si prenda il caso dei giudici che interpretarono la prima legge sulla sicurezza in maniera non conforme ai voleri del ministro di Polizia. Furono disposti accertamenti sulla loro vita privata e le loro frequentazioni. E il Capitano lo ammise senza vergogna:’’ Volevo solo sapere se è opportuno che alcuni magistrati contrari al governo debbano giudicare le cause che coinvolgono il Viminale. Mi spiace (quelle finesse! Ndr) che venga chiamato in causa il Csm, che in queste settimane ha altro a cui pensare. Lavoro per la sicurezza di tutti gli italiani, magistrati compresi”. Ad ulteriore chiarimento, fonti del Viminale resero noto che si stava valutando di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato per chiedere se i magistrati che avevano emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi “per posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza”.
E così occorreva accertare se gli stessi magistrati avessero espresso pubblicamente “idee o attraverso rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri”.