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Nostalgia di Winston Churchill

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

Fine maggio 1940: la Germania stava vincendo la guerra e Hitler attendeva con calma la resa dell’Inghilterra. Dopo la disfatta di Dunkerque, sembrava avere le ore contate. Il resto del mondo taceva, con l’Urss in disparte, gli Stati Uniti lontani, l’Italia e il Giappone in agguato. Il grande storico americano John Lukacs ha spiegato perché il Führer non sferrò subito il colpo di grazia all’esercito britannico: attendeva l’esito del confronto, nel partito conservatore e nel governo, tra il ministro degli Esteri Edward Halifax, Neville Chamberlain (il premier che Winston Churchill aveva sostituito dopo l’occupazione nazista della Norvegia) e lo stesso Churchill (“Cinque giorni a Londra”, Corbaccio, 2001).

I primi due erano favorevoli alla ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto che permettesse un accordo di pace con il Terzo Reich. Churchill, invece, era contrario a ogni ipotesi di “appeasement” con i tedeschi. Il 28 maggio, quando giunse la notizia che il Belgio si era arreso, dichiarò (mettendo al tappeto i suoi nemici interni): “La nostra unica speranza è la vittoria […] o noi cesseremo di essere uno Stato”. Se non sbaglio, in quell’occasione coniò una delle sue più celebri battute: “Ci sono tre cose che possono rovinare un uomo: il gioco, le donne e gli esperti”.

In ogni caso, con questa granitica convinzione morale e politica pronunciò i “greatest speeches”, i grandi discorsi che animarono la resistenza contro nazismo fino alla sua sconfitta. Non c’è dubbio che l’Europa e il mondo intero debbano essere più grati all’eminente statista, che condusse la Gran Bretagna alla vittoria contro le potenze dell’Asse, che a un politico imbelle come Chamberlain o a uno snob cacadubbi come lord Halifax.

Morale della favola: “ll debole dubita prima di prendere una decisione, il forte dopo” (Karl Kraus).

 

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