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Cernobbio

Tutte le pericolose fissazioni del Movimento 5 Stelle

Il post di Alessandra Servidori   Durante la 3 giorni di Cernobbio, un tempo la “Grand class” dell’economia, è andato in onda il teatrino della pochezza politica di questo governo. Un capolavoro di ambiguità sia sul famoso documento tecnico/scientifico dei tempi della prima ondata di pandemia pubblicato con degli omissis che sono tutto un programma,…

 

Durante la 3 giorni di Cernobbio, un tempo la “Grand class” dell’economia, è andato in onda il teatrino della pochezza politica di questo governo. Un capolavoro di ambiguità sia sul famoso documento tecnico/scientifico dei tempi della prima ondata di pandemia pubblicato con degli omissis che sono tutto un programma, sia sugli impegni che dovremmo assumere sui vari step che ci attendono sui fondi europei.

Sotto traccia mai un cenno a ciò che ha fatto il Conte 1 e quello 1,5 avendo accresciuto il debito pubblico con il reddito di cittadinanza, quota cento, promesse non mantenute su Flat tax, ostilità verso l’Unione europea, apertura verso la Cina di Luigi Di Maio e verso la Russia con Matteo Salvini.

Per non parlare sul piano delle riforme economiche e dei progetti di ripresa, per cui non sono andati al di là dei bonus e dell’ultimo in ordine sparso come quello “vacanze”: al 31 agosto, neppure un decimo dei 5 milioni di italiani che il governo aveva ipotizzato fossero la platea, ne ha usufruito, facendo spendere appena 200 milioni dei 2,4 miliardi stanziati (l’8%).

Mentre il ministro Gualtieri continua a ripetere che la ripresa si affaccia, ma sappiamo bene che ai danni del Covid hanno riparato sostituendo con ammortizzatori sociali, bonus, una tantum, indennità, tasse rinviate (di poco) ai redditi e ai fatturati falcidiati dal lockdown. La verità è che hanno fatto finta di mantenere in vita posti di lavoro con il blocco dei licenziamenti che appena cessato, provocherà una moria di posti e scordiamoci altre assunzioni.

“I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire”, ha detto Mario Draghi al Meeting di Rimini, ma ai giovani bisogna dare di più perché “i sussidi finiranno” e se la spesa a debito non sarà servita a formarli professionalmente, a creare nuove opportunità, saranno loro a essere le vittime sacrificali.

La verità è che esiste, nel Paese, uno schieramento trasversale – che tiene insieme pezzi della maggioranza e dell’opposizione e che include anche i sindacati – che esprime una linea molto esplicita: arriveranno molte risorse che ci consentiranno di tirare avanti distribuendo ed incassando sussidi. Conte ha persino dovuto difendersi dal trafficante di parole Di Maio, per poter argomentare le prerogative finanziarie italiane nel programma Next Generation Eu.

I 5Stelle trotterellano ansiosi per l’esito della loro iniziativa al referendum, dimostrando che esistono solo se il taglio dei parlamentari riceve la maggioranza dei consensi. È una pseudo riforma parziale, intempestiva, in piena crisi da Covid-19, che farebbe risparmiare allo Stato solo un pacchetto di milioni, mentre l’attenzione nazionale dovrebbe essere concentrata sulla selezione e la progettazione di riforme vere, quelle finanziabili dal New Generation Eu, un programma complesso pensato per i giovani, la ripresa e l’occupazione; riforme mirate e controllabili dalla Commissione europea, la cui esecuzione imporrà coerenza, esperienza e competenza.

Quella che loro chiamano riforma non è altro che una decapitazione del Parlamento, solo irresponsabile bulimia di potere per restare al governo che porta il Pd loro alleato a chinare la testa e farsi gregario. Una vera riforma deve prevedere un sistema bicamerale diverso (le due Camere hanno le stesse funzioni, ma votano separatamente), dunque un’adeguata rappresentanza regionale, un potere diversamente articolato del presidente del Consiglio e una nuova legge elettorale; e sopratutto il mantenimento della centralità del parlamento della vita democratica adatta a una società civile economica e politica policentrica e poliarchica come quella italiana e coerente con l’insieme dell’ordinamento.

La promessa elettoralistica del “taglio” nei 5S fa parte delle bandiere populiste sbandierate all’insegna della furia anti-casta e anti-poltrone (salvo le loro) e il tentativo di diminuire il ruolo del Parlamento in attesa poi di poterlo sostituire, come hanno promesso, con una grande macchina digitale: dunque una minoranza che pratica con tirannia quella che loro chiamano democrazia diretta.

Questa ghigliottina porta effetti negativi: collegi elettorali da ridisegnare, sistema di voto da cambiare, regolamenti parlamentari da riscrivere, ruolo delle due Camere da ridefinire, tutti affidati a generiche quanto non affidabili promesse di futuri interventi legislativi. Avevano giurato spergiurando che avrebbero completato l’opera con una riforma del sistema elettorale da farsi prima del referendum, in un anno non hanno concluso assolutamente nulla. Una riforma di rango costituzionale abbisogna di una legge ordinaria ma ne rimane orfana, contro di essa milita non solo il fatto che non sia stata colpevolmente completata, ma anche e soprattutto che risulti lampante che sia squilibrata, velenosa, meschina. Se i No saranno tanti – anche se malauguratamente non dovessero prevalere – segnaleranno l’esistenza di un’Italia diversa da quella che ha consegnato se stessa, in una delle ore più buie della sua storia, ad un manipolo di buoni a nulla.

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