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La democrazia dell’applauso

Il Bloc Notes di Michele Magno

Pubblicato nel 1935 a Zurigo, “Eredità del nostro tempo” di Ernst Bloch è un magistrale saggio storico-sociologico sul crollo della Repubblica di Weimar e sull’avvento del nazismo. La sua introduzione si intitola “Polvere”. La metafora centrale del libro è infatti la polvere, che la piccola borghesia in rovina solleva nell’aria e che si diffonde rapidamente in tutto il Reich. Veicoli della polvere sono la distrazione e l’inebriamento di massa, le due categorie interpretative di cui si serve Bloch per esaminare l’ascesa di Hitler. Sotto la scura polvere che si alza in un’atmosfera cupa e minacciosa, non c’è una via d’uscita. Il finale, quindi, è già scritto. Mentre l’operaio senza lavoro non guardava più a Mosca, l’impiegato disoccupato si affida al Führer.

In Europa, nei primi decenni del Novecento, la rabbia e la paura dei ceti medi impoveriti furono catturate da regimi totalitari. Oggi sono intercettate soprattutto da movimenti populisti. Nelle sacre rappresentazioni dei loro leader, gli abiti di Satana sono identici: lo Stato dei padroni, la casta dei politicanti, la grande finanza, il complesso militare-industriale, i poteri forti, la massoneria, la “cricca” di Bildemberg. Nulla di scandaloso, perché il populismo non è un’ideologia, ma una sindrome basata su due radicate convinzioni: che il popolo sia depositario della verità e che sia, insieme, vittima di raggiri, inganni, persecuzioni. In questo senso, si può ben dire che il populismo è una religione neopagana in cui il popolo è Dio, un Dio che adora se stesso.

Sul fuoco del populismo, poi, soffia la rete, vale a dire il maggior simbolo della modernità. Grazie al web vengono lanciate le crociate contro gli infedeli, i signori della Terra che tessono incessantemente i loro complotti per meglio dominare il mondo degli umili, dei deboli, dei servi della gleba. Mancano le prove e i documenti, ma che importa? La loro assenza è la migliore conferma che il Male agisce di nascosto.

Pensando ai bagni di folla del “Capitano del popolo” Matteo Salvini e al fanatismo dei suoi fan sulle piazze e sui social, l’impressione è che molti, forse troppi italiani ormai preferiscano alla democrazia del voto la democrazia dell’applauso, all’elezione l’acclamazione. È la maniera, che dopo Max Weber non dovrebbe avere più segreti, con cui i seguaci legittimano il capo carismatico. L’acclamazione, in altre parole, legittima la sua investitura. E il capo che ha ricevuto un’investitura, nel momento stesso in cui la riceve, si può sentire svincolato da ogni mandato ed è tentato di rispondere solo a se stesso e alla sua “missione”.

Le pulsioni plebiscitarie dei leader politici non sono mancate nella storia repubblicana, ma oggi hanno un rilievo e un carattere del tutto inediti. La formazione dell’opinione pubblica è infatti influenzata solo in modesta misura dai media tradizionali. Nessuno come Salvini sa invece usare quella formidabile macchina del consenso che nel mondo di Internet va sotto il nome di “cascate informative”. Queste si creano quando una fonte d’informazione promuove una credenza, e mano a mano un sempre maggior numero di persone la accoglie come vera. La realtà “percepita” si sostituisce così alla realtà effettuale e il gioco è fatto.

Beninteso, il gruppo dirigente Pd queste cose le sa. Eppure, mentre continua a farsi le scarpe su leadership e congresso, pare decisamente poco interessato alla ricostruzione della macchina organizzativa del partito. Come se alla potenza industriale dei suoi competitori fosse ancora sufficiente contrapporre il nobile artigianato dei circoli e delle primarie. Le tue idee diventano importanti se riesci a comunicarle e a farle conoscere ai cittadini. Impresa impensabile senza una grande infrastruttura telematica che metta in rete esperienze amministrative e di lotta locali, programmi nazionali, associazionismo sociale, liste civiche.

C’è qualcuno che si ricorda di Bob (Kennedy), la piattaforma digitale alternativa a Jean-Jacques (Rousseau) lanciata più di un anno fa da Matteo Renzi? Una delle regole fondamentali del sistema parlamentare è non soltanto che esista un’opposizione, ma che questa opposizione sia efficace, sia cioè vista come una possibile alternativa di governo. Nulla di tutto ciò è attualmente all’orizzonte. Nel gioco per il potere le due dispensatrici della vittoria sono, per usare le famose categorie di Machiavelli, la fortuna o la virtù. Dalle parti di Largo del Nazareno sembrano mancare entrambe. Ma il partner di un gioco non può essere un perdente per predestinazione. Il perdente per predestinazione non è un giocatore, è tutt’al più un giocato (da altri). Emanuele Macaluso ama ripetere che il Pd non è un partito, ma un agglomerato politico-elettorale. Ha ragione, ma non è solo questo il punto. La verità è che ancora non si capisce (almeno chi scrive non capisce) cosa voglia fare da grande.

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