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Sanzioni

Chi ha vinto e chi ha perso con il governo Conte

I Graffi di Damato sul governo Conte, l’azione del Quirinale e le presenze di Tria e Savona nell’esecutivo composto da Movimento 5 Stelle e Lega Se Dio vuole è fatta, almeno per ora. Se non la Repubblica, quella vera, non quella di carta di Eugenio Scalfari, il presidente Mattarella è riuscito a salvare la sua…

Se Dio vuole è fatta, almeno per ora. Se non la Repubblica, quella vera, non quella di carta di Eugenio Scalfari, il presidente Mattarella è riuscito a salvare la sua festa, che ricorre il 2 giugno. Lo ha fatto congedando con tanti ringraziamenti Carlo Cottarelli, richiamando Giuseppe Conte al Quirinale e accettandone la lista dei ministri appena concordata su una terrazza della Camera dai leader dei due partiti che compongono il nuovo esecutivo: il Movimento 5 stelle e la Lega. Due leader che “affiancano” il presidente del Consiglio come vice e ministri di grandissimo peso: il leghista Matteo Salvini al Viminale, cioè all’Interno, e il grillino pentastellato Luigi Di Maio allo scatolone dove confluiscono i dicasteri dello Sviluppo economico e del Lavoro.

Il contestatissimo Paolo Savona, che proposto al ministero dell’Economia aveva fatto tremare le vene e i polsi a Mattarella per i pericoli che avrebbe potuto rappresentare per l’Unione europea, la moneta unica e i risparmi degli italiani, è diventato ministro degli “affari europei” nel governo infine partorito. Se non sarà zuppa, sarà pan bagnato.

A Bruxelles e dintorni, d’accordo, non si troveranno il “rompiscatole” Savona nelle riunioni dell’’Ecofin, una specie di Consiglio dei Ministri dell’Economia dell’Unione, ma lo avvertiranno spesso come un convitato di pietra perché i loro dossier finiranno lo stesso nelle sue mani in Italia.

Ma soprattutto i signori dell’Ecofin non tarderanno ad accorgersi che l’economista Giovanni Tria, proposto a Mattarella, e accettato, al posto di Savona al dicastero in cui sono confluiti da tempo i vecchi Ministeri del Tesoro, del Bilancio e della Finanze, è un osso duro, per niente convinto che l’Unione e l’euro siano gestiti al meglio. Non casualmente egli è di casa alla Fondazione Bettino Craxi, sino a poco tempo fa presieduta dalla figlia dello scomparso leader socialista, Stefania, e ora dall’ex ministra Margherita Boniver, da quando Stefania è tornata in Parlamento con Forza Italia, al Senato.

Fra i lasciti politici di Bettino Craxi c’è il monito sull’”inferno” che sarebbe diventata l’Unione Europea, e la sua moneta unica, senza modificare le regole dei vecchi trattati del 1992. Che lui, da segretario del Psi, accettò nella dichiarata convinzione che dovessero servire solo a far partire l’Unione.

La formazione del governo Conte ha rispettato anche il vecchio detto popolare che “né di Venere né di Marte ci si sposa né si parte”. E’ nato infatti di giovedì, in tempo anche per permettere al presidente del Consiglio di correre dagli amici che lo aspettavano nella solita pizzeria, e ristorante, del centro storico di Roma.

Giuramento dei ministri e partecipazione all’abituale ricevimento nei giardini del Quirinale per la festa della Repubblica sono invece l’antipasto della rassegna militare e civile del 2 giugno ai Fori Imperiali, dove il vignettista del Corriere della Sera ha già immaginato svettare come jet Conte, Di Maio e Salvini, sopra un canuto e assordato Mattarella. Che in questa lunghissima crisi di governo ne ha viste e tollerate un po’ di tutti i colori, lasciandosi in verità sorprendere troppe volte da fatti e attori dell’inusuale e un po’ sismico scenario politico prodotto dalle elezioni del 4 marzo scorso.

Alla fine il presidente della Repubblica ha avuto anche la possibilità di giovarsi, personalmente e istituzionalmente, di una crisi apertasi più o meno sotto traccia in entrambi i partiti del “governo del cambiamento”, avendo prima Di Maio e poi anche Salvini incontrato resistenze alla originaria linea dello sfondamento verso le elezioni anticipate, per giunta d’estate.

Ciò ha permesso a Mattarella, minacciato per 48 ore anche di cosiddetto impeachment, di tirare un sospiro di sollievo e di esprimere quella che il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, con il sapiente gioco di parole che è abituato a cogliere, e qualche volta anche a conciliare, fra gli arazzi e i tappeti del palazzo dove trascorre buona parte della sua giornata, ha definito “soddisfazione senza trionfalismi”. Cui invece si sono un po’ goffamente abbandonati politici, costituzionalisti, editorialisti e cronisti affetti da quella che chiamerei la sindrome della Corte.

Come potrà lavorare e quanto potrà durare il governo dell’”avvocato difensore del popolo” Giuseppe Conte nessuno può onestamente sapere e ragionevolmente prevedere anche perché la sua nascita, pur fortunosa, ha abbozzato nuovi equilibri e distrutto o lesionato altri. Siamo all’ennesima scomposizione e ricomposizione delle forze politiche e degli equilibri: un fenomeno ciclico che nella lontana e cosiddetta prima Repubblica aveva un regista eccezionale: Aldo Moro. Ad averne un altro all’altezza in questa incipiente e proclamata “terza Repubblica”: quella “dei cittadini”, come la vorrebbe chiamare con troppa enfasi Di Maio, non proprio un monumento alla chiarezza e alla linearità di posizioni e comportamenti.

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