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Ecco perché è mutilata la vittoria di Davigo al Consiglio superiore della magistratura

E’ dunque durata poco la stravittoria di Piercamillo Davigo nelle elezioni per la componente togata del nuovo Consiglio Superiore della Magistratura.

A scrutini finalmente chiusi a Roma, quattro giorni dopo la conclusione delle votazioni svoltesi domenica e lunedì nei distretti giudiziari corrispondenti alle Corti d’Appello, si è scoperto che il pugnace presidente di sezione della Corte di Cassazione, pur votatissimo fra i giudici di legittimità, è riuscito a portarsi appresso, per la sua corrente, creata apposta per la corsa elettorale, solo un pubblico ministero. E ciò senza alcuna fatica perché quattro erano i posti in palio e altrettanti i candidati: uno per ciascuna corrente.

Fra i dieci giudici di merito eletti dagli 8010 magistrati votanti, Davigo non è riuscito a fare eleggere nessuno dei due candidati che aveva piazzato nelle liste. In una intervista al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio -e a chi sennò?- egli ha dato una spiegazione tecnica all’incidente, assumendosene la piena responsabilità.

Per sfruttare al meglio le modalità di votazione, egli avrebbe dovuto presentare un candidato soltanto per i giudici di merito. Così i davighiani nel nuovo Consiglio Superiore, destinato a insediarsi non prima di settembre, dopo l’elezione degli otto esponenti di designazione parlamentare, sarebbero stati tre.

Ma è sicuro che anche da solo, e neppure in due, Davigo saprà farsi sentire e notare nel nuovo organismo di autogoverno della magistratura. Non gli mancano certamente prontezza di riflessi e vigore polemico: fin troppo, e non solo per i garantisti. Egli sa spiazzare anche i frequentatori dell’affollatissimo e a lui ben noto giustizialismo quando li coglie in fallo nella pratica della lottizzazione degli uffici giudiziari fra le correnti delle toghe. Che scimmiottano la politica distinguendosi fra destra, centro e sinistra. La sua, di corrente, viene generalmente collocata a destra, a torto o a ragione.

Sulla strada di Davigo consigliere superiore della Magistratura resta tuttavia una incertezza. Fra circa due anni egli dovrà andare in pensione, a metà mandato quindi del Consiglio. Dovrà lasciare o potrà rimanervi, magari con qualcuna delle norme da lui tante volte, e giustamente, contestate perché studiate e volute apposta dalla maggioranza politica e parlamentare di turno? Che questa volta, peraltro, non nasconde -almeno nella componente grillina- simpatie per lui.

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