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Conflitti Interessi

Come procede la partita per le presidenze delle Camere

Per quanto “infastidito” – parola del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda – dalle “illazioni” su una sua interferenza, o quasi, nella partita delle presidenze delle nuove Camere, il primo gol lo ha segnato proprio il capo dello Stato. Di cui tutte le forze politiche, nonostante i contrasti che le separano sul resto, hanno…

Per quanto “infastidito” – parola del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda – dalle “illazioni” su una sua interferenza, o quasi, nella partita delle presidenze delle nuove Camere, il primo gol lo ha segnato proprio il capo dello Stato. Di cui tutte le forze politiche, nonostante i contrasti che le separano sul resto, hanno accettato senza batter ciglio l’auspicio, attribuitogli dallo stesso Breda, che “le figure” dei nuovi vertici parlamentari abbiano un profilo “naturalmente istituzionale”. Cioè che “godano – parole sempre del quirinalista del Corriere – di una riconosciuta autorevolezza e siano considerate al di sopra delle parti”.

Sia Luigi Di Maio sia Matteo Salvini, in ordine rigorosamente alfabetico, ma anche elettorale, hanno rinunciato alla tentazione, se mai l’hanno avuta, di aggiudicarsi le due presidenze delle Camere per meglio controllare da posizioni istituzionali di prim’ordine gli sviluppi della situazione sulla strada della formazione del nuovo governo. E anche per sopire le concorrenze alle due cariche all’interno, rispettivamente, del loro partito o coalizione.

Comunque andrà a finire la scommessa di Silvio Berlusconi sulla candidatura del fedele Paolo Romani alla presidenza del Senato, per la quale tuttavia si spendono ancora anche i nomi di Anna Maria Bernini – che sarebbe la prima donna a quel posto nella storia della Repubblica – e di Maurizio Gasparri, ai vertici delle Camere sono destinati ad arrivare forse già entro sabato un forzista e un grillino non di primissimo piano. Per Forza Italia, d’altronde, il problema in ogni caso non si sarebbe mai potuto porre in modo diverso, essendone Berlusconi certamente il capo assoluto ma tuttora esterno al Parlamento per le sue note condizioni giudiziarie di incandidabilità. Ed è appunto a Forza Italia che Salvini ha riconosciuto, all’interno del centrodestra, una specie di diritto di prelazione sulla seconda carica dello Stato, una volta che i grillini hanno preferito rivendicare per il loro movimento la presidenza della Camera.

Va detto, per obiettività, che l’auspicio di Mattarella per “profili” il più possibile neutri, o il meno possibile esposti, ai vertici delle Camere può ben essere considerato comprensibile, essendone i presidenti i suoi più diretti interlocutori. Uno dei quali – quello del Senato – è persino destinato dall’articolo 86 della Costituzione a esercitarne le funzioni “in ogni caso che egli non possa adempierle”. E appartengono alle funzioni del presidente della Repubblica, fra l’altro, anche la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura e il comando delle Forze Armate.

Vi sono stati – è vero – capi dello Stato, nei settant’anni trascorsi dall’elezione del primo Senato della Repubblica, che non hanno fatto una piega quando il loro potenziale supplente si è trovato ad essere un protagonista politico come Amintore Fanfani. Che gareggiava con Aldo Moro nello scomporre e ricomporre – soleva dire in particolare Moro – gli equilibri all’interno della Dc.

Quello dello scudo crociato era il partito di maggioranza, mai trovatosi all’opposizione, cardine del sistema anche quando lasciava la guida del governo ad alleati come il repubblicano Giovanni Spadolini o il socialista Bettino Craxi.

Ma erano decisamente altri tempi. Ed altri uomini.

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