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Come Giuseppe Conte si racconta a Marco Travaglio del Fatto Quotidiano

I Graffi di Damato sull’intervista che il premier Giuseppe Conte ha concesso a Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano A dispetto di una foto ormai di culto che lo ritrae… assente al banco del governo, alla Camera, fra i due vice presidenti del Consiglio invece presenti, che parlano e decidono fra di loro, Giuseppe Conte…

A dispetto di una foto ormai di culto che lo ritrae… assente al banco del governo, alla Camera, fra i due vice presidenti del Consiglio invece presenti, che parlano e decidono fra di loro, Giuseppe Conte c’è e fa regolarmente la sua parte orgogliosamente dichiarata di “ponte” fra il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini. I quali, da capi dei due movimenti che compongono il governo, gli consentono di evitare le vecchie “liturgie dei vertici delle coalizioni”.

Ogni volta che c’è un problema lui non deve perdere tempo: li consulta separatamente o li riunisce e risolve ogni cosa, con grande risparmio di tempo e di energia rispetto a quanti lo hanno preceduto a Palazzo Chigi, e prima ancora al Viminale, quando era ancora lì la sede della Presidenza del Consiglio, e non solo del Ministero dell’Interno.

La testimonianza della presenza “silenziosamente operosa” di Conte, come lui stesso l’ha definita, è stata resa in una lunga intervista, spalmata in due pagine e mezza del Fatto Quotidiano, al direttore in persona Marco Travaglio. Che ha anche cronometrato l’incontro contando 120 minuti, al netto forse dei saluti all’arrivo.

La prima qualità umana, più ancora che politica, rivendicata da Conte è la “normalità”, certificatagli già alla vigilia delle elezioni politiche del 4 marzo dal fondatore in persona, “garante”, “elevato” e quant’altro del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Il quale, giudicandolo all’istante fra tutti i ministri di penombra, diciamo così, presentatigli da Di Maio dopo avere mandato addirittura al Quirinale “la lista” di governo che aveva in mente di proporre al capo dello Stato al momento opportuno, disse al professore: “Sei fra tutti, quello normale”. E ciò forse anche perché era allora destinato -se non ricordo male- solo alla funzione pubblica, dove invece sarebbe arrivata, ma in quota leghista, l’avvocata Giulia Bongiorno.

Eppure il modello politico che si è dato Conte nell’intervista a Travaglio non si può proprio definire normale, almeno nel senso di ordinario, rispondendo addirittura al nome di uno statista e di un martire della politica e della democrazia come il compianto Aldo Moro. Di cui sino ad ora l’attuale presidente del Consiglio può condividere di certo solo l’origine pugliese. Moro nacque a Maglie, in provincia di Lecce, dove gli hanno eretto una statua meritatissima, al netto della forzatura politica di quella copia dell’Unità, lo storico giornale comunista, infilatagli in una tasca della giacca, per quanto egli fosse stato un democristiano a 24 carati.  Conte invece è nato quasi 54 anni fa, quando Moro stava preparando il suo secondo governo di centrosinistra fra il “rumore di sciabole” avvertito da Pietro Nenni nei suoi diari, a Volturara Appula, in provincia di Foggia: un borgo, più che un paese, di circa 400 abitanti.

Nella rappresentazione che ha fatto a Travaglio del suo lavoro a Palazzo Chigi il professor Conte ha cercato di imitare di Moro la tendenza a smussare le difficoltà, eccedendo forse un po’ troppo, sino a dare l’impressione che si annoi. E a rammaricarsi del fatto che non può lasciare assistere i giornalisti alle sedute del Consiglio dei Ministri, né trasmetterle in diretta alla maniera una volta reclamata dai grillini. Non lo fa, par di capire, per non annoiare anche loro, cioè noi, abituati come saremmo agli spettacoli pirotecnici della politica, a scontri durissimi, che magari ci inventiamo riferendone di seconda mano.

Nelle riunioni consiliari che gli capita di presiedere, quando non è all’estero, come è accaduto una volta anche per non partecipare ad una decisione in cui poteva incorrere in un conflitto d’interesse riguardando qualche cliente del suo ufficio legale, non dico che non voli una mosca ma di sicuro “mai una parola grossa o un insulto” fra i ministri. Quando ci sono contrasti, lui media e compone in tutta serenità, e con generale soddisfazione. Se poi c’è qualcuno che fuori racconta il contrario, dice il falso.

L’esperienza di governo, nonostante le grane degli sbarchi, delle telefonate col Quirinale, della corrispondenza con Bruxelles, delle bonifiche ministeriali reclamate da grillini o leghisti che si sentono intralciati o boicottati dalle solite burocrazie renitenti, un buon risultato lo ha già prodotto a Giuseppe Conte. Che, ormai abbastanza noto, ha deciso di fare a meno per il futuro del suo troppo lungo curriculum. Gli basta ora vantare la sua qualifica di avvocato, neppure più quella di professore, come ha detto chiudendo l’intervista al Fatto Quotidiano. Anzi, avvocato e presidente del Consiglio. Ex presidente del Consiglio, quando lo sarà.

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