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Salvini

Che cosa si dicono al telefono Matteo Salvini e Silvio Berlusconi

I Graffi di Damato sullo stato dei rapporti fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini Ho saputo da buona fonte che, per quanto gli impegni di lavoro siano aumentati ora che deve dividersi anche tra gli uffici del Viminale e di Palazzo Chigi, senza rinunciare a quelli della Lega e alle piazze, Matteo Salvini non lasci…

Ho saputo da buona fonte che, per quanto gli impegni di lavoro siano aumentati ora che deve dividersi anche tra gli uffici del Viminale e di Palazzo Chigi, senza rinunciare a quelli della Lega e alle piazze, Matteo Salvini non lasci praticamente trascorrere giorno senza fare almeno un colpo di telefono a Silvio Berlusconi. Che, d’altronde, gli avrebbe dato come a pochi altri il numero del suo cellulare personale, dove ha smesso da tempo di inserire quelle curiose schede anti-intercettazione fornitegli dall’amico Walter Lavitola prima di doversi rifugiare all’estero e finire in galera.

Nelle telefonate, pur rammaricandosi ogni tanto di questa o quella dichiarazione rilasciata dall’ex capogruppo forzista alla Camera Renato Brunetta e simili, Salvini cerca di rassicurare il Cavaliere. Di confermargli non solo l’amicizia e la simpatia personali ma anche la fedeltà, nonostante le apparenze, all’alleanza di centrodestra. Alle cui finalità e ai cui programmi egli ritiene di non avere rinunciato, come dimostrerebbero del resto le comuni campagne in corso per le consistenti elezioni amministrative di domenica prossima, pur essendosi momentaneamente messo con i grillini per governare a livello nazionale. Ma lo ha fatto al termine di una lunga trattativa -ricorda sempre Salvini all’amico- che non avrebbe mai cominciato se non ne fosse stato autorizzato da lui in persona: circostanza, questa, alla quale Berlusconi non oppone mai smentita o precisazione, arrivando qualche volta solo ad ammettere di avere creduto che ne sarebbe uscita fuori solo la rottura della frittata. Che invece è riuscita ed è stata servita agli italiani tra la delusione, le protesta e gli allarmi a sinistra di Altan su Repubblica: non certo un vignettista di simpatie forziste.

Ostinato come un mulo, peraltro ingrassato negli ultimi mesi, come gli ha appena rimproverato con poca grazia Giampaolo Pansa contestandogli anche l’uso delle camicie bianche, che non ne affinano di certo la linea, Salvini è convinto che prima o dopo riuscirà a convincere del tutto Berlusconi delle proprie ragioni, come ha già fatto con Giorgia Meloni. Che, passata dal voto contrario all’astensione sulla imminente fiducia parlamentare al governo legastellato di Giuseppe Conte, ha detto urbi ed orbi che “il Cavaliere ha torto” a non dare una mano a Salvini nell’azione di contenimento e, tutto sommato, anche di contrasto ai grillini. I quali di voti ne stanno perdendo e non guadagnando dalla firma del “contratto” con i leghisti.

Vedrete -si è avventurato a prevedere il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno agli amici-che i parlamentari di Forza Italia finiranno per approvare più provvedimenti del governo di quelli che bocceranno. Se sono rose, fioriranno. D’altronde, la vocazione all’opposizione non è irresistibile ai congiunti e agli amici che amministrano le aziende del Cavaliere, per quanto la figlia più ascoltata e più alta in grado, Marina, non si lasci scappare occasione per sostenere che il famoso conflitto d’interessi contestato al padre dagli avversari è vero al contrario. Esso gioca, cioè, più per fermare il Cavaliere che per fargli rincorrere il governo contrastando quelli in carica.

Il telefono di Berlusconi in questi giorni è molto caldo. Chissà se riuscirà a trovarlo libero l’ormai ex ministro degli Esteri Angelino Alfano, scomparso dai radar politici. Egli ha lasciato la Farnesina esprimendo un solo desiderio: di tornare ad avere “un rapporto affettuoso” col Cavaliere, a dispetto del quid negatogli quando ancora apparteneva a Forza Italia e ne sembrava il delfino. Altro che “diversamente berlusconiano”, come Alfano si sarebbe definito improvvisando un nuovo partito di centrodestra per restare nel governo di Enrico Letta, cui l’uomo di Arcore aveva tolto l’appoggio come ritorsione per la decadenza da senatore, a scrutinio per giunta inusualmente palese, votatagli dal Pd dopo la condanna definitiva per frode fiscale. E in applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino.

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