“The world over a barrel” è il titolo del ventisettesimo numero di Oil, in uscita in questi giorni in italiano e inglese e, a breve, anche in versione cinese. La rivista propone un’analisi della crisi mediorientale, sullo sfondo della quale emergono il petrolio e il controllo delle enormi risorse energetiche che questa regione custodisce e dalle quali dipendono, in larga misura, i destini dell’intero mondo industrializzato.
L’intero numero è dedicato a un focus sia sull’area colpita dalla crisi che sui paesi vicini, i cui equilibri dipendono sensibilmente dall’evolversi degli eventi, senza tralasciare i paesi lontani che hanno forti interessi energetici nell’area mediorientale.
In esclusiva Oil ha intervistato il viceministro iracheno per gli Affari Giuridici, Mohammed Jawad al Durki, che parla di “riconciliazione nazionale”, di azioni per trovare accordi anche con i paesi vicini e che conferma, da parte del ministero del Petrolio, l’impegno – in accordo con gli altri paesi dell’Opec – per stabilizzare il prezzo del greggio e controllare le esportazioni.
Per l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, uno dei maggiori conoscitori della realtà mediorientale, un’ipotesi, difficile da realizzarsi ma non utopistica, potrebbe essere quella di una conferenza internazionale: una sorta di nuovo Congresso di Vienna. È una suggestione sulla quale i governi dovrebbero impegnarsi, in uno sforzo, quanto mai urgente, di mediazione.
Il punto di vista degli Stati Uniti ce lo spiega Harold Rhode, per lungo tempo esperto analista del Pentagono. L’America, per Rhode, ha solo un modo per sconfiggere gli jihadisti: deve mostrarsi vincente; in caso contrario, fallirà. Non si poteva trascurare il punto di vista dei paesi vicini, come la Turchia (parla il Consigliere speciale del premier Erdogan, Ibrahim Kalin), il Kurdistan e Israele, di cui ci racconta i timori il politologo e diplomatico at large Avi Pazner: “Gerusalemme vive con apprensione gli sviluppi della crisi ma è fiduciosa che l’Occidente impedirà all’Isis di rafforzarsi attraverso il controllo dei giacimenti”.
Ampio spazio viene dato, ovviamente, all’analisi delle quotazioni del petrolio: secondo Paul Betts, editorialista del Financial Times, per contrastare lo Stato Islamico ci vorrebbe una riduzione dei prezzi da parte dell’Opec. Per Bassam Fattouh, direttore dell’OIES (Oxford Institute for Energy Studies), l’instabilità politica a Baghdad si tradurrà in ulteriori ritardi per le infrastrutture, importantissime per permettere al paese di sfruttare appieno il suo potenziale energetico.
Per capire di più le origini e la storia di questa crisi, Oil ha ospitato le riflessioni ad ampio respiro del noto scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun. A corredo della rivista, la mappa “Il petrolio del Califfato” con i dati energetici dell’area mediorientale, una cartina dettagliata delle infrastrutture energetiche dell’Iraq e i dettagli della struttura dello Stato Islamico.
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