Più volte, anche in questa rubrica, ho affermato che l’età della “globalizzazione trionfante”, che potremmo datare approssimativamente dal 1989 al 2008, ha prodotto una convergenza di fatto fra due “eresie” del liberalismo: la cultura liberal, che a suo volta è una forma di illuminismo estremo, e la teologia liberale del Mercato o “neoliberismo”.
È interessante considerare come la “teoria del gender”, maturata come tante altre nei campus anglosassoni (che sono un po’ il baricentro della decadenza della grande cultura occidentale), sia un significativo terreno di potenziale incontro fra le due culture “eretiche”. È chiaro che l’idea universalistico-astratta dell’illuminismo, nelle cui radici è piantata la mentalità liberal, tende potenzialmente a cancellare, in nome di una universale e astratta “natura umana”, la differenza specifica data dalle identità concrete in cui quella universalità, in modo certamente non statico ma dinamico, si incarna. Trasposto e reso estremo questo universalismo, le stesse identità sessuali finiscono per essere appiattite, sempre ovviamente in modo tendenziale, in un omologante indifferentismo sessuale che ha come punto finale di approdo l “uomo” (scusate ma non saprei dire in altro modo) che sceglie la propria identità sessale a seconda dei momenti e dello spazio così come, più o meno, può scegliere la mattina un abito da indossare durante il giorno da un armadio zeppo di possibilità. Esseri sempre più amorfi, asessuati, uomo-donna, popolano già l’immaginario di molte subculture, dai fumetti alla fantascienza alla pop music. A volte ci si spinge fino ad immaginare ibridi, cybe-uomini, cyborg, uomini-macchina.
Ma che c’entra tutto questo con il neoliberismo? Per intanto, una massa indifferenziata di persone diventa “materiale umano” (o “postumano): quindi teoricamente organizzabile, manipolizzabile, standardizzabile. Diventa anche quindi commercializzabile. Le grandi multinazionali della produzione (oggi anche e soprattutto di servizi e beni immateriali) piuttosto che seguire e misurare, col mercato, le eccentriche e caotiche preferenze individuali di uomini con personalità e identità forti, per meglio raggiungere i propri scopi possono essere tentate di seguire la strada inversa: determinarle in modo facile e probabile.
Il progetto razionalistico, che sottintende la modernità illuministica, si converte perciò nel più assoluto relativismo dei fini e dei valori, quindi in sostanziale nichilismo. L’ideologia nata per tutelare le differenze finisce così, paradossalmente, per eliminarle; così come il più efficace e “oggettivo” misuratore delle espressioni della libertà umana, il mercato, finisce per diventare strumento di omologazione e conformismo. La pubblicità esalta la nuova sessualità unisex e fluid gender, e aiuta a far passare come “passatista” ogni esperienza “tradizionale” di sessualità. Non credo sia un caso. E aggiungo pure che io non sono in certe questioni affatto un “tradizionalista”: penso però che, in un mondo davvero plurale e pluralistico nessuno possa essere bollato o sopportato per le proprie scelte come un “reperto del passato”. E ritengo, altresì, che oggi, come sempre, la funzione liberale (perché in questo consiste in concreto il liberalismo) si eserciti contro lo “spirito dei tempi” dominante, cioè in direzione opposta al conformismo delle élite che poi diventa di massa.
PS. Quando parlo di “globalizzazione trionfante” intendo dire, da una parte, che la globalizzazione esisteva, in qualche modo, da molto prima di quando se ne è cominciato a parlare e, d’altra parte, che essa esiste oggi che la sua ideologia risulta incrinata dagli effetti della “grande recessione”