Che si approvi o meno il suo modo muscolare di gestire la politica e gli affari – che per lui sono la stessa cosa – bisogna comunque riconoscere all’attuale presidente Usa Donald Trump di essere riuscito a sparigliare le carte, piegando governi e potenti industrie estere alla propria volontà. Ne è un esempio l’ultimo piano industriale vergato da Toyota, l’azienda nipponica che vende il maggior numero di auto al mondo: provare a piazzare sul mercato nipponico auto sfornate nei suoi stabilimenti americani.
IL PIANO INSENSATO DI TOYOTA PER NON SCONTENTARE IL PRESIDENTE USA
La strategia si basa sulla volontà di innestare in un mercato, quello giapponese, molto diverso da quello statunitense per gusti e necessità tre modelli studiati e sviluppati per essere apprezzati soprattutto al di là del Pacifico: la berlina Camry, venduta in Giappone fino al 2023, il modello Suv Highlander, ritirato dal mercato domestico nel 2007 e il pickup Tundra, inedito in Giappone.
La decisione, di per sé curiosa, non prevede di iniziare la produzione dei tre modelli “americani” in uno dei 14 stabilimenti situati sull’arcipelago giapponese, ma di produrli negli Usa per poi farli viaggiare per mare fino alle sponde nipponiche. Una strategia fortemente antieconomica che pare perciò sorta con l’esigenza di mandare un messaggio a Donald Trump, che ha più volte accusato il Giappone di inondare il mercato statunitense dell’auto coi suoi modelli ma di non comprare vetture americane.
I DATI DANNO RAGIONE A TRUMP
In effetti i dati danno ragione al presidente Trump: il Paese del Sol Levante, vero e proprio colosso quando si parla di automobili vendute ai quattro angoli del globo, apprezza davvero poco i marchi statunitensi.
Secondo i dati dell’Associazione nazionale degli importatori di automobili (Jaia), nel 2024 sono state importate e vendute circa 230.000 vetture straniere in Giappone, pari a circa il 5% di tutte le immatricolazioni di auto nuove. Quelle americane si sono fermate a più di 16 mila unità, mentre le restanti provenivano per lo più dalla Germania. Insomma, se gli Usa non riescono a vendere le proprie auto, ci pensa Trump con la forza, anche se qui tecnicamente si parla sempre di vetture a marchio Toyota: la sola differenza è che sono sfornate dall’altro lembo dell’Oceano.
UN PIANO SUGGERITO DAL GOVERNO NIPPONICO?
Tanto basta però per iniziare a riequilibrare la bilancia commerciale a favore degli statunitensi. Dal canto suo il Ministero del Territorio e dei Trasporti giapponese ha subito dato il proprio imprimatur al piano industriale comunicando di essere al lavoro su di un sistema più flessibile per le certificazioni, dato che le vetture prodotte negli Usa rispondono a standard diversi, spesso meno elevati rispetto a quelli obbligatori per ottenere l’omologazione nell’arcipelago nipponico.
Del resto Sanae Takaichi, la prima donna a guidare il Giappone, in carica da metà ottobre, intende fare di tutto pur di avere buoni rapporti con il partner d’Oltreoceano. In occasione della visita del presidente americano nell’arcipelago giapponese Takaichi – almeno secondo quanto riferito dalla Casa Bianca – avrebbe pure espresso l’intenzione di raccomandare Trump per il Premio Nobel per la pace.
I DAZI USA FANNO MALE ALLE AUTO GIAPPONESI
Quel che è certo è che la potente industria automobilistica nipponica ha bisogno del mercato americano se vuole continuare a macinare a spron battuto, soprattutto ora che nel resto del mondo hanno iniziato a correre le auto cinesi. Ad agosto Toyota aveva avvertito gli investitori che le tariffe commerciali volute da Trump (sei volte superiori a quelle dell’era Biden) avrebbero comportato un taglio del 16% sulla previsione di utile operativo per l’intero anno, ora stimato a 21,7 miliardi di dollari.
Quanto agli altri marchi più diffusi Honda nel corso del 2025 ha annunciato di attendersi un impatto negativo sui profitti di circa 3 miliardi di dollari e Nissan (alle prese con una forte crisi che la sta costringendo a una spending review senza euguali) prevede una riduzione di 2 miliardi di dollari: non a caso nell’ambiente si vocifera che anche le altre due Case giapponesi intendano iniziare a “reimportare” in patria auto sfornate negli Stati Uniti.
TOYOTA & CO MIRANO ALLE KEI CAR USA CHE PIACCIONO A TRUMP?
La speranza potrebbe essere quella di ingraziarsi a tal punto il presidente americano da essere prese in considerazione per quel piano industriale apparentemente balzano che Trump ha “studiato” per ravvivare il mercato statunitense dell’auto: puntare sulla produzione delle kei car che tanto vanno di moda nell’estremo Oriente così da avere modelli a prezzi di listino accessibili e dai bassissimi costi di mantenimento.
La Casa Bianca ha fatto sapere di avere già autorizzato il segretario ai Trasporti, Sean Duffy, a preparare il necessario per favorire la produzione di queste particolari city car. Il piano, che ha fatto aggrottare le sopracciglia a più di un analista (gli americani infatti prediligono le vetture di grosse dimensioni ritenendole anzitutto uno status symbol, inoltre non hanno centri storici che giustifichino il bisogno di compattezza), laddove prevedesse incentivi statali o sgravi d’altro tipo potrebbe favorire proprio le Case giapponesi che hanno stabilimenti negli Usa dato che posseggono il know-how necessario.





