DOSSIER VISTI TRA TRUMP E UE
L’amministrazione Trump ha imposto restrizioni sui visti a cinque cittadini europei, accusati di aver promosso campagne per limitare la libertà di espressione americana sulle piattaforme digitali.
La decisione, resa nota martedì dal Dipartimento di Stato, ha provocato una immediata ondata di critiche da parte di leader europei, tra cui Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen, che l’hanno definita un tentativo di intimidazione contro la sovranità digitale dell’Ue.
Washington, dal canto suo, ha presentato la misura come una difesa necessaria contro quella che considera una “censura extraterritoriale”, in particolare legata alla Digital Services Act europea.
L’episodio riflette un contrasto più profondo tra visioni opposte sulla moderazione online, con gli Stati Uniti che privilegiano una libertà di espressione quasi assoluta e l’Europa che punta a contrastare odio e disinformazione.
I MOVITI DELLA NUOVA MOSSA DI TRUMP SULL’UE
Come riporta l’Associated Press, quella attuata dal Dipartimento di Stato consiste nell’applicazione di una nuova politica sui visti introdotta a maggio, pensata per bloccare stranieri coinvolti in attività di censura che colpiscano la libertà di espressione protetta negli Stati Uniti.
Reuters contestualizza la decisione come parte di una campagna più ampia contro le regole europee, considerate da Washington eccessive e lesive per le imprese tech Usa.
Bloomberg la inquadra invece come l’ennesima critica dell’amministrazione Trump all’establishment liberale europeo, accusato di limitare il dibattito su temi come l’immigrazione e la spesa militare.
ECCO CHI TRUMP HA COLPITO
I nomi dei sanzionati sono stati resi pubblici da Sarah Rogers, sottosegretaria di Stato per la diplomazia pubblica, attraverso una serie di post su X.
Si tratta di figure di spicco nel contrasto all’odio e alla disinformazione online: Imran Ahmed, CEO britannico del Centre for Countering Digital Hate, organizzazione che monitora contenuti estremi e campagne di disinformazione; Josephine Ballon e Anna-Lena von Hodenberg, co-direttrici di HateAid, associazione tedesca che offre supporto legale alle vittime di abusi digitali; Clare Melford, fondatrice e responsabile del Global Disinformation Index, ente britannico che valuta il rischio di siti web per gli inserzionisti; e Thierry Breton, ex commissario europeo per il mercato interno, francese, tra i principali architetti della Digital Services Act.
Quest’ultimo è stato ha definito da Rogers il “mastermind” della legge Ue, accusandolo di aver minacciato Elon Musk prima dell’intervista a Trump nell’agosto 2024.
QUALI SONO GLI ATTI DI ACCUSA USA
Ad annunciare le misure è stato il Segretario di Stato, Rubio, che le ha giustificate con parole dure: “Per troppo tempo ideologi europei hanno organizzato pressioni sulle piattaforme americane perché punissero punti di vista che non condividono. L’amministrazione Trump non tollererà più questi atti di censura extraterritoriale”, ha scritto su X.
Rubio ha parlato di “attivisti radicali” e “ONG armate” che favoriscono repressioni straniere contro voci e aziende Usa, con possibili gravi ripercussioni sulla politica estera americana.
Rogers ha aggiunto accuse specifiche, definendo le attività dei sanzionati un tentativo di “fomentare la censura del discorso americano” e criticando l’uso di fondi pubblici per promuovere blacklist di contenuti conservatori.
Come osserva la CNN, Rubio ha lasciato aperta la porta a ulteriori espansioni della lista se altri attori non cambieranno atteggiamento.
LE REPLICHE DEGLI INTERESSATI
Le reazioni dei cinque sono state immediate e polemiche.
Thierry Breton ha evocato su X la “caccia alle streghe di McCarthy”, ricordando che la DSA è stata approvata all’unanimità dai 27 Stati membri e dal 90% del Parlamento europeo: “Ai nostri amici americani: la censura – ha scritto Breton – non è dove credete che sia”.
Ballon e von Hodenberg di HateAid citati da Reuters hanno parlato di “atto repressivo” da parte di un governo che “ignora lo stato di diritto per silenziare i critici”, ribadendo che non si lasceranno intimidire e continueranno a difendere i diritti umani e la libertà di espressione.
Il Global Disinformation Index ha definito la misura “un attacco autoritario alla libertà di parola e un atto di censura governativa”, accusando l’amministrazione Trump di usare il potere federale per zittire voci dissenzienti – comportamenti definiti “immorali, illegali e anti-americani” da un portavoce citato dalla CNN.
LA REAZIONE DELL’UE
La risposta europea è stata compatta. Come riporta Bloomberg, Macron ha bollato i divieti come “intimidazione e coercizione volte a minare la sovranità digitale europea”, sottolineando che le regole Ue si applicano solo entro i confini del continente e mirano a garantire che “ciò che è illegale offline lo sia anche online”.
Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha ribadito che la DSA non ha portata extraterritoriale.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha difeso la libertà di espressione come “fondamento della democrazia europea” e promesso una reazione “rapida e decisiva” se necessario.
In Germania, la ministra della Giustizia Stefanie Hubig ha espresso “solidarietà” a HateAid, definendo i bandi “inaccettabili” e affermando che “le regole dello spazio digitale europeo non si decidono a Washington”.
Analoghi toni critici sono arrivati da Spagna, Regno Unito e altri Paesi, mentre la Commissione ha chiesto chiarimenti formali agli Stati Uniti.





