Nel 2026, scrive l’Economist, l’Oceano Artico diventerà un luogo sempre più strategico e affollato.
Il progressivo scioglimento dei ghiacci, l’aumento esponenziale del naviglio e le tensioni geopolitiche tra Russia, Stati Uniti, Cina ed Europa stanno trasformando una regione un tempo isolata in un’arena di opportunità economiche e di competizione globale.
Un oceano sempre più trafficato
Le coste dell’Oceano Artico sono sempre più animate da un’intensa attività marittima: petroliere, navi da carico, unità di ricerca, chiatte, navi da crociera e persino yacht privati solcano le sue acque.
È previsto un ulteriore incremento nella primavera del 2026, con la rottura dei ghiacci stagionali. Il progressivo ritiro della calotta polare sta rendendo l’Artico meno isolato e ostile.
Secondo i dati più recenti del gruppo di lavoro PAME (Protection of the Arctic Marine Environment) del Consiglio Artico, nel 2024 ben 1.781 navi uniche sono entrate nell’area regolata dal Codice Polare, con un aumento del 37% rispetto al 2013; la distanza totale percorsa è cresciuta del 108%, passando da 6,1 milioni a 12,7 milioni di miglia nautiche.
Un nuovo crocevia strategico
Su una mappa convenzionale l’Artico appare marginale e tagliato, ma osservandolo dal polo Nord diventa evidente il suo ruolo: lambisce le masse continentali eurasiatica e americana, collegando Atlantico e Pacifico.
È ricco di petrolio, gas, minerali e pesce, e offre la possibilità di accorciare le rotte commerciali globali, oggi costrette a passare per i canali di Suez e Panama, resi problematici negli ultimi anni rispettivamente da conflitti e siccità.
Complicazioni ambientali
Oltre che dai fattori economici e, soprattutto, dalla geopolitica, la velocità di apertura dell’Artico dipende dal cambiamento climatico.
Il ritmo di fusione del ghiaccio si è rallentato negli ultimi anni, ma estati sempre più libere dai ghiacci appaiono inevitabili senza un improvviso arresto del riscaldamento globale.
L’estensione minima annuale della banchisa nel settembre 2025 era del 39% inferiore rispetto al 1980.
Meno ghiaccio facilita il transito navale, ma introduce complicazioni: ghiaccio più mobile e imprevedibile, innalzamento del livello del mare e tempeste che erodono le coste prive di ghiaccio costiero stabile, permafrost che scongela e rende instabili gli edifici, strade di ghiaccio praticabili solo quando congelate.
La rotta del Mare del Nord
Per quanto riguarda il traffico marittimo, se la rotta del Mar Rosso resterà rischiosa per la presenza minacciosa degli Houthi nello Yemen, crescerà l’interesse per la rotta del Mare del Nord (NSR), più corta ma stagionale e complessa, lungo la costa settentrionale russa.
Attualmente è utilizzata principalmente per trasportare commodity russe (petrolio, gas e minerali) verso la Cina, con un volume totale di circa 38 milioni di tonnellate nel 2024, secondo i dati Rosatom.
Sulla base dei dati del Centre for High North Logistics il transito internazionale nel 2025 ha registrato una crescita stabile: 103 viaggi di transito da parte di 88 navi uniche, per un volume di merci di circa 3,2 milioni di tonnellate, con aumenti significativi nei bulk carrier (+8 viaggi rispetto al 2024) e nei portacontainer (15 viaggi, record).
In autunno una nave portacontainer cinese ha compiuto il tragitto da Ningbo (Cina) a Felixstowe (Regno Unito) via NSR: la compagnia armatrice lo presenta come l’avvio di un servizio cargo regolare.
La Corea del Sud annuncia test sulla rotta nel 2026.
Rivalità tra grandi potenze
Le rivalità tra Cina, Russia, Stati Uniti e paesi dell’Europa occidentale – insieme a eventi più lontani – determineranno gran parte degli sviluppi al vertice del mondo.
Se la guerra in Ucraina si concluderà e la Russia uscirà dalle sanzioni nel 2026, potrebbero riprendere gli investimenti occidentali nell’Artico russo. Nei loro diversi pour-parler Donald Trump e Vladimir Putin hanno discusso possibili accordi artici.
Al contrario, se il conflitto proseguirà e Trump manterrà la pressione su Mosca, la capacità russa di esportare petrolio e gas artico potrebbe ridursi.
Progetti economici alternativi non sostenibili
I progetti economici dipendono dai prezzi delle materie prime e dal sostegno governativo, soprattutto per le infrastrutture.
L’ambizione dell’amministrazione Trump di raddoppiare le esportazioni di petrolio dall’Alaska appare dubbia, visti i costi elevati di estrazione e trasporto dal North Slope attraverso l’oleodotto Trans-Alaska lungo 800 miglia.
Ancora più incerta è la proposta di un “gemello” per il gas, un gasdotto per rifornire i mercati asiatici di GNL: la società promotrice prevede l’inizio dei lavori nel 2026 ma molti mettono in dubbio la sostenibilità del progetto.
Nel frattempo, le restrizioni cinesi sull’export di minerali rari accrescono l’interesse per i depositi artici, spiegando in parte il desiderio di Trump di acquisire la Groenlandia, che però è formalmente territorio danese, da cui la forte improbabilità di un passaggio sotto il controllo Usa. Le condizioni lì peraltro sono però ancora più estreme che in Alaska.
Nuove infrastrutture
Nel 2026, ricorda l’Economist, inizieranno i lavori per espandere il porto di Nome, nell’Alaska occidentale, offrendo ormeggi in acque profonde vicino allo Stretto di Bering sempre più trafficato. Oggi il porto profondo più vicino è Dutch Harbor, a 800 miglia.
Una maggiore capacità a Nome migliorerà le prospettive del progetto Graphite One, una miniera vicina per grafite destinata alle batterie litio-ione.





