Hanno parlato entrambe soprattutto ai loro elettori e alla stessa ora, ma distinte e distanti. Nei giorni scorsi è andata in scena la sfida politica fra Giorgia Meloni, presidente del Consiglio nei panni di leader di Fratelli d’Italia per concludere la festa di “Atreju”, ed Elly Schlein, segretaria del Pd e riferimento, nella contemporanea assemblea del partito, di un campo largo già sperimentato nelle elezioni regionali. Ma tutto da costruire in ambito nazionale. E allora attenzione all’alleato di cui non si può fare a meno, il capo pentastellato Giuseppe Conte. Che pone come condizione per l’intesa la condivisione dei punti salienti del programma del suo movimento. Solo dopo, perciò, si dovrà pensare a chi potrà guidare la coalizione e alla formula (primarie o non è detto?) per stabilirlo.
Grandi manovre di fine anno, dunque, già tutti sapendo che il primo duello all’orizzonte sarà il referendum costituzionale di primavera per confermare o bocciare la riforma sulla giustizia approvata dal Parlamento e promossa dalla maggioranza. Anche se le ultime scaramucce dell’anno sono rivolte alla legge di bilancio, che la leader di Fdi rivendica come esempio di quella buona amministrazione e stabilità di governo riconosciute a livello internazionale dalle Agenzie di valutazione, dal differenziale mai tanto basso, dall’aumento rilevante degli investimenti italiani nei titoli di Stato, cioè dalla “credibilità” – sottolinea Giorgia Meloni – ottenuta in Italia e all’estero nei suoi tre anni e oltre di governo.
Da ciò l’attacco contro “la sinistra che rosica” e contro l’assente, eppur invitata ad Atreju, Schlein, “chi scappa non ha contenuti”.
La segretaria del Pd ribatte che le tasse sono aumentate, che il frigo degli italiani “è sempre più vuoto”, che le risorse per la sanità sono insufficienti, mentre salgono le spese militari, ossia che la finanziaria non farà ripartire il Paese. “Meloni fa propaganda”, dice. “La destra è ossessionata dal potere”.
Il dialogo tra sordi sull’economia s’estende alla battaglia referendaria tra fronte del sì (maggioranza e Carlo Calenda; Matteo Renzi è per la libertà di coscienza) e fronte del no delle forze progressiste.
Ma anche se la presidente del Consiglio – stavolta in questa veste -, ribadisce che il governo finirà la legislatura per non ripetere l’errore di Renzi, che invece legò il suo destino di presidente del Consiglio all’esito del referendum sulla riforma – bocciata – della Costituzione, è chiaro che il risultato sulla giustizia avrà un impatto sugli equilibri fra i contendenti.
Il resto arriverà dalle scelte sempre più decisive in politica estera tra Zelensky e Putin, Europa e Stati Uniti, riarmo difensivo del continente oppure no di fronte alla violenta aggressione russa dell’Ucraina.
Un terreno dove le differenze non mancano di qua e di là: Salvini rispetto a Meloni e Tajani tanto quanto Conte e Bonelli rispetto a Schlein.
Anche se tali “distinguo” non hanno mai influito sulle scelte e sul ruolo del governo in linea istituzionale col Quirinale e con l’Unione europea.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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