I Pfas, sostanze chimiche diffuse nell’ambiente e ormai presenti ovunque, sono nemici degli anticorpi prodotti dai vaccini. A dimostrarlo è una ricerca dell’Università di Padova, i cui risultati sono stati presentati oggi nel corso della tavola rotonda “Esposizione a Pfas e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario”, tenutasi a Roma e promossa dal presidente della 7ª Commissione permanente del Senato, Roberto Marti.
GLI EFFETTI DEI PFAS SUL SISTEMA IMMUNITARIO
Il nuovo studio dell’Università di Padova rafforza le preoccupazioni riguardo agli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), noti inquinanti ambientali ampiamente diffusi in tutto il mondo, sul sistema immunitario umano, contribuendo a chiarire i meccanismi che potrebbero spiegare la ridotta risposta ai vaccini osservata nei bambini esposti a queste sostanze.
Anche le principali agenzie sanitarie internazionali hanno identificato l’indebolimento della risposta vaccinale in età pediatrica come l’effetto più documentato e rilevante associato ai Pfas nell’uomo, che vi entra in contatto principalmente per ingestione, in parte per inalazione e, infine, per contatto dermico.
“Da tempo osserviamo, attraverso le indagini epidemiologiche, come i bambini esposti a elevate concentrazioni di queste sostanze mostrino risposte vaccinali ridotte, ma mancava una dimostrazione chiara dei meccanismi cellulari coinvolti”, ha spiegato Carlo Foresta, andrologo, endocrinologo e professore presso l’Università di Padova.
METODOLOGIA DELLO STUDIO
I ricercatori hanno analizzato in laboratorio il comportamento dei linfociti B – le cellule che nel corso della loro maturazione diventano capaci di produrre anticorpi – dopo l’esposizione al Pfoa, uno dei Pfas più diffusi.
I campioni provenivano da sette donatori di sangue sani non esposti a Pfas e sono stati successivamente trattati con Pfoa in laboratorio. Lo studio, durato quasi due anni, ha preso avvio nel giugno 2024 e si è concluso nell’ottobre del 2025.
“I nostri risultati – ha detto Foresta – indicano che il Pfoa interferisce direttamente con il funzionamento dei linfociti B, rallentandone la maturazione e riducendo in modo significativo la capacità di produrre anticorpi, in particolare le immunoglobuline G, fondamentali per la memoria immunitaria a lungo termine”.
I RISULTATI DELLA RICERCA
Secondo i risultati, i linfociti B mantenuti in coltura ed esposti al Pfoa mostrano una proliferazione e un’attivazione ridotte in risposta ai fattori di crescita fisiologici, con un rallentamento della maturazione cellulare. Questo porta a una produzione significativamente inferiore di anticorpi, in particolare delle immunoglobuline G, che costituiscono la memoria immunitaria a lungo termine dopo le vaccinazioni pediatriche.
La riduzione osservata nella produzione di anticorpi, tra il 30% e il 45%, risulta coerente con i dati epidemiologici che documentano risposte vaccinali più deboli in bambini residenti in aree con alti livelli di Pfas.
“La riduzione rilevata – compresa tra il 30% e il 45% – è perfettamente sovrapponibile a quanto documentato negli studi di popolazione, confermando che l’impatto dei Pfas non è un’ipotesi teorica, ma un rischio concreto per la salute dei più piccoli”, ha ribadito Foresta.
CONFRONTO CON STUDI PRECEDENTI
Già in diverse regioni del Nord Europa e negli Stati Uniti era stato rilevato che bambini esposti a maggiori concentrazioni di Pfoa presentavano livelli di anticorpi più bassi dopo i richiami per tetano, difterite, morbillo e altre vaccinazioni di routine, hanno sottolineato gli esperti.
Ora, il nuovo studio condotto dai professori Foresta e Francesco Cinetto in collaborazione con i professori Luca De Toni e Andrea Di Nisio, evidenzia come il Pfoa interferisca direttamente con le cellule produttrici di anticorpi, alterando processi fondamentali per la risposta immunitaria.
“È un’evidenza che deve richiamare l’attenzione delle istituzioni e della comunità scientifica: comprendere i meccanismi biologici è essenziale per definire strategie di prevenzione e intervento”, ha detto Foresta. “La nostra speranza – ha concluso – è che questo lavoro contribuisca a rafforzare la consapevolezza sulla necessità di limitare l’esposizione a questi composti e di tutelare con maggiore determinazione la salute dei bambini”.




